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La condanna alle spese per mancata comparizione davanti al mediatore
L’art. 8, comma 5, del D.Lgs. n. 28 del 2010 dispone che: “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, ai sensi dell’articolo 116, secondo comma,
del codice di procedura civile”.
La norma de qua ha, in altri termini, l’effetto di “qualificare” le scelte comportamentali del chiamato alla mediazione, da valutarsi nell’ambito endo-processuale ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c.
La norma indicata - e che si intende commentare in questo breve contributo - fa parte del novero delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 28/10 (art. 5, art. 13 nonché le norme che prevedono i benefici fiscali, artt. 17 e 20) che mirano ad introdurre nel “costume” degli Italiani il ricorso alla mediazione quale strumento ADR non aggiudicativo per risolvere le controversie insorte tra le parti.
Occorre chiedersi quale sia il campo di applicazione della disposizione in commento.
Non vi è dubbio che detta disposizione si applica certamente in quei casi in cui le parti sono obbligate al tentativo di conciliazione, per legge o per accordo inter partes: esse sono obbligate per legge nelle materie in cui il tentativo di conciliazione è posto come condizione di procedibilità della domanda giudiziale e per atto inter vivos quando, ai sensi dell’art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 28/2010, “il contratto, lo statuto ovvero l’atto costitutivo dell’ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazione».
Le parti, poi, sono parimenti obbligate a partecipare alla mediazione nel caso della c.d. conciliazione demandata che, seppur sollecitata dal giudice, si attua solo nell’ipotesi in cui le parti aderiscano all’invito: in altri termini, le parti assumono con il giudice un impegno il cui mancato rispetto potrebbe integrare una violazione dell’obbligo di lealtà di cui all’art. 88 c.p.c.
La mancata partecipazione non giustificata sarà perciò elemento di prova per il giudice nell’eventuale successivo processo civile, nonché nel processo che proseguirà dopo la sospensione disposta dal giudice con la conciliazione dal medesimo richiesta.
Non pare invece rilevante la mancata partecipazione alla seduta di mediazione in ipotesi di malattia della parte che ha aderito alla conciliazione: in tali casi, il mediatore fisserà sicuramente altra seduta cui la parte non comparente potrà partecipare.
Nella prassi possono però sorgere svariate ipotesi: si cercherà di analizzare, senza alcuna pretesa di esaustività, quelle che, allo stato, paiono le più probabili.
In caso di mediazione obbligatoria e il richiedente abbia presentato domanda presso un Organismo con sede disagevole per la controparte, come potrà essere qualificata la mancata adesione e/o partecipazione della stessa?
Se la norma in commento tende, come si è detto, ad inserire nella nostra realtà la procedura di mediazione è anche vero che non si può arrivare ad affermare che detta intenzione del Legislatore debba essere perseguita costringendo il richiedente a sopportare alti costi (si pensi alla trasferta, al soggiorno presso la città ove ha sede l’Organismo, il costo dell’eventuale assistenza tecnica, etc.): una siffata costruzione appare, ictu oculi, illogica.
La fattispecie pare comunque puramente accademica o, comunque, assai rara, in quanto l’Organismo può avere, ai sensi del DM 180/10, più sedi così come può avere mediatori che operano in vari circondari.
Si esamini invece l’ipotesi della clausola di conciliazione contenuta in un accordo inter partes che individui un determinato Organismo di mediazione o faccia semplicemente riferimento ad Organismi con sede in una data città, o ancora a Organismi costituiti presso determinati Enti o specializzati (si pensi agli Organismi di mediazione costituiti presso l’Ordine degli Avvocati o a quello presso la Consob).
La soluzione pare abbastanza semplice: la parte invitata a partecipare ad una procedura di mediazione di fronte ad un organismo diverso, per tipologia e/o per territorio, da quello di cui alla clausola contrattuale, potrà non partecipare alla procedura ADR e il suo comportamento dovrà essere ritenuto “giustificato”, essendo la parte attivante la mediazione inadempiente rispetto al dettato di detta clausola.
Nell’ipotesi poi che la controparte predetta aderisca ugualmente al tentativo di mediazione anche davanti ad Organismo diverso da quello individuato nell’accordo si potrà configurare una sorta di modifica tacita dell’atto stipulato anche alla luce del disposto dell’art. 5, comma 5, D.Lgs. 28/10 il quale dispone che in ogni caso “le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto”.
Lo stesso principio varrà nell’ipotesi in cui una parte abbia attivato la procedura ADR avanti ad Organismo diverso da quello pattuito nell’atto o nel verbale di causa afferente la mediazione demandata.
Altra questione è se sia da considerarsi giustificato motivo la mancata adesione della parte che non abbia ricevuto l’invito alla mediazione inoltrata dall’Organismo.
Si ricorda che l’art. 3, comma 3, D.Lgs. citato dispone che gli atti della procedura non sono soggetti a formalità e l’art. 8 recita che la domanda e la data del primo incontro sono comunicate dall’Organismo all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. In mancanza di previsioni regolamentari dell’Organismo adito, la comunicazione di richiesta di mediazione può essere inoltrata con raccomandata, fax, posta elettronica, PEC, consegna a mano etc.
La risposta è assolutamente scontata: la mancata adesione è sicuramente da qualificarsi come giustificato motivo segnalando però la difficoltà per la parte di provare, in sede processuale, il mancato ricevimento ai fini di non incorrere nel dettato della disposizione in commento.
Al di fuori delle ipotesi predette, ci si deve domandare come debba essere qualificato il comportamento della parte che non aderisca alla conciliazione non obbligatoria o aderisca e poi non si presenti alla seduta con il mediatore.
Chi scrive ritiene che l’art. 8 in commento non si applichi solo alle conciliazioni obbligatorie, sia per legge sia per contratto, ma anche in quelle non obbligatorie e ciò a fronte della finalità precipua della mediazione quale sistema, seppur parziale, di deflazione del nostro sistema processuale.
Ma quale è l’esatto significato di quegli “argomenti di prova” previsti dall’art. 116, comma, c.p.c.?
Gran parte della Dottrina ritiene che gli argomenti di prova siano fonte di convincimento del giudice anche se di rilevanza inferiore alle presunzioni e ai mezzi di prova, mentre la Giurisprudenza non è di uguale avviso.
In altri termini, la Dottrina li qualifica come argomenti di prova ausiliari e aggiuntivi con la conseguenza che il giudice non potrà trarre il proprio convincimento basandosi solo su di essi, mentre la Giurisprudenza li valuta, con determinate qualificazioni, come fondanti, permettendo al giudice di basare la decisione anche solo su tali argomenti di prova.
È indubbio che tutto l’argomento verrà sottoposto, per ragioni di cose, al vaglio della Magistratura e l’interpretazione giurisprudenziale potrà fornire risposte ai quesiti che si sono posti.
Avv. Giovanni Fasan
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