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Per i processi lumaca equa riparazione se i ricorsi non sono dilatori
Nel valutare la «ragionevole durata del processo», in ambito fallimentare, il giudice deve considerare la complessità del caso anche attraverso un esame analitico dei vari sub-procedimenti per appurare «quanta parte sia imputabile al comportamento delle parti e quanta al comportamento del giudice o di altri organi della procedura o a disfunzioni dell'apparato giudiziario».
Non si può quindi omettere questo tipo di valutazioni, «considerando che la durata dei giudizi aventi ad oggetto le azioni revocatorie di per sé non è imputabile all'amministrazione finanziaria».
Sulla base di queste argomentazioni la Corte di cassazione, prima sezione civile, (sentenza n. 17440, depositata ieri), ha accolto il ricorso proposto per ottenere l'equa riparazione da parte dell'erede di un imprenditore fallito costretto a subire le lungaggini di una procedura durata eccessiva 40 anni. È vero, osservano i giudici di legittimità, che nel corso dell'iter concorsuale erano stati presentati molti reclami proprio da parte dell'interessato. I giudici di merito però non devono fermarsi «alla circostanza fattuale dell'avvenuta presentazione dei reclami», né è corretto che in via automatica sottraggano «dalla durata complessiva della procedura fallimentare la durata dei procedimenti iniziati su reclamo del fallito».
Invece, i giudici devono accertare se la definizione dei procedimenti «sia dipesa da inerzie o intenti dilatori dei falliti, mentre la circostanza che si tratta di comportamenti che costituiscono attuazione del diritto di azione o di difesa a tutela degli interessi del fallito non è idonea a giustificare tale automatica detrazione, potendo solo influire, eventualmente, sulla quantificazione dell'indennizzo».
L'importante, in altri termini, è che i reclami non siano stati meramente dilatori. Solo qualora si accerti che l'intento dei reclami era quello di rinviare il momento della decisione finale i giudici possono ridurre dalla durata dell'intero processo fallimentare quello occorso per i vari sub-procedimenti.
Sempre in tema di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo la prima sezione civile della Cassazione (sentenza n. 17447, depositata ieri) ha accolto parzialmente un ricorso in materia di indennizzo "minimo". Il giudice nazionale scrive infatti la Corte, può discostarsi dai parametri di liquidazione del danno fissato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, oscillanti fra i 1.000 e i 1.500 euro annui, «purché in misura ragionevole e sempre che dia adeguata motivazione delle circostanze che, nel caso concreto, giustificano il riconoscimento di un indennizzo minore». In ogni caso, dove non emergano particolari elementi in grado di far apprezzare la «peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l'esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un effettivo pregiudizio e non indebitamente lucrativa», comporta «il riconoscimento di una somma non inferiore ad euro 750 per i primi tre anni di ritardo e ad euro 1.000 per gli anni successivi». Nel caso esaminato, invece, i giudici di merito avevano determinato il danno in euro 500 per ciascun anno di ritardo, «ma non hanno sufficientemente motivato le ragioni per le quali hanno ritenuto di dover attribuire il minore importo».
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2011-08-22/processi-lumaca-equa-riparazione-222213.shtml?uuid=AaV9OFyD
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