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Gip di Como: le neuroscienze entrano e vincono in tribunale
Le neuroscienze in tribunale hanno la meglio sulle indagini psichiatriche tradizionali. E’ infatti basata sullo studio del cervello, e non solo della psiche, la decisione del Gip di Como di condannare a venti anni, riconoscendo il vizio parziale di mente, una donna che aveva ucciso e bruciato la sorella ed era stata arrestata in flagrante mentre tentava di eliminare allo stesso modo la madre.
Le divergenze della psichiatria tradizionale - Sulla lucidità di quelle azioni efferate, che rientravano in un piano per appropriarsi dei beni di famiglia, illustri studiosi si sono dati battaglia in tribunale arrivando a tre conclusioni diverse: piena capacità di intendere e volere, vizio totale, vizio parziale. Difficile per il giudice, che non può avere una scienza superiore a quella del perito, orientare e motivare la sue decisioni con il “supporto” di conclusioni specialistiche tanto divergenti. Nel caso della giovane comasca i tradizionali test psichiatrici hanno segnato il passo e sono stati apertamente contraddetti dalle emergenze processuali. Per questo l’avvocato Guglielmo Gulotta difensore dell’omicida, ma anche ordinario di psicologia giuridica all’università di Torino, ha chiesto di aprire le porte del tribunale alle neuroscenze che oggi consentono di studiare il cervello e, in particolare, quelle aree che, secondo tesi scientifiche internazionalmente condivise, regolano alcune specifiche funzioni.
L'imaging cerebrale - Lo studio in aula si è spostato dunque dalla psiche alla morfologia del cervello dell’imputata. E questa volta i risultati delle “imaging cerebrale” e della genetica molecolare sono stati giudicati coerenti con i comportamenti criminali della donna. In particolare è stata riscontrata un’alterazione nella morfologia dei lobi frontali che hanno il “compito”, tra le altre cose, di controllare il comportamento e l’inibizione degli impulsi, il giudizio critico, il senso morale e la discriminazione tra il bene e il male.
Il passo successivo è stato il confronto tra i risultati dati dagli stessi esami fatti su un gruppo di persone “sane”, equiparabili per età e per sesso. Una comparazione che ha evidenziato delle differenze per quanto riguarda la densità della sostanza grigia in alcune zone fondamentali per inibire il comportamento automatico con un altro, come per regolare la menzogna e per i processi di suggestionabilità o autosuggestionalità nel regolare le azioni aggressive.
Le garanzie dell'articolo 189 del Cpp - Il quadro, aderente alla storia dell’imputata, ha indotto il Gip a condannare la donna a venti anni riconoscendo parzialmente diminuita la sua capacità di intendere e di volere e a disporre il suo immediato ricovero in una casa di cura.
Soddisfatto della vittoria Guglielmo Gulotta. “Si tratta del primo riconoscimento in Italia e uno dei primi al mondo – ha spiegato il professore – in cui le neuroscienze vengono utilizzate per vagliare l’imputabilità basandosi anche sui risultati della risonanza magnetica funzionale”.
Una nuova frontiera destinata a essere sempre più utilizzata nelle aule giudiziarie anche grazie all’articolo 189 del Codice di procedura penale, che è introdotto allo scopo di garantire la flessibilità del sistema processuale in materia di prova scientifica. Via libera dunque alle nuove tecnologie che, come affermato nella sentenza, offrono spunti ulteriori per la conferma o la falsificazione di ciò che deve essere considerato una prova nel processo penale.
http://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaAlDiritto/penale/primiPiani/2011/08/le-neuroscienze-entrano-e-vincono-in-tribunale.html
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