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  • CASSAZIONE: Rischia i domiciliari l'avvocato che usa escamotage per sottrarre beni illeciti alla giustizia

    Rischia gli arresti domiciliari l'avvocato che aiuta il cliente mafioso con un escamotage a sottrarre i proventi illeciti alla giustizia. Così la Cassazione ha confermato tale misura cautelare ad un avvocato di un affermato studio milanese che “con la propria opera professionale”, aveva consentito a un cliente, ”la fittizia intestazione di propri cespiti patrimoniali alla moglie”.
    Nella fattispecie in esame, in prima istanza, il G.I.P. di Palermo aveva applicato al professionista la misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione a gravi indizi di colpevolezza del reato, commesso prestando la propria opera professionale in favore di un proprio cliente al fine di consentire la fittizia intestazione di propri cespiti patrimoniali alla moglie.
    Il Tribunale di Palermo ha successivamente confermato tale provvedimento, con particolare riferimento alle esigenze cautelari, argomentando che “il pericolo di reiterazione criminosa già ritenuto dal G.I.P. poteva essere affermato sulla, sola base delle modalità e circostanze del fatto, dalle quali potevano desumersi notizie sia in ordine all'oggettiva gravità del fatto che in ordine alla personalità dell'indagato”.
    Ricorso in Cassazione contro tale provvedimento, il difensore ha esposto vari motivi a sostegno della sua tesi.
    Questi i punti fondamentali del ricorso, poi rigettato dalla Suprema Corte.
    Primo fra tutti, la violazione dell'art. 274 lett. c), che così si pronuncia in merito alle esigenze cautelari:
    Le misure cautelari sono disposte:

    ...;

    c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni
    Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe assunto come presupposto della decisione un concetto di pericolo concreto di reiterazione criminosa non conforme al citato dettato normativo, perché non derivante dalla valutazione della personalità dell'indagato, ma avulso da circostanze di fatto che indichino la probabilità della commissione di altri fatti-reato da parte dell'indagato.
    Il Tribunale avrebbe, inoltre, proceduto ad una valutazione della personalità dell'indagato tralasciando completamente gli elementi di giudizio indicati nel citato art. 274 lett. ) c.p.p., concentrando invece la propria attenzione unicamente sulle modalità e circostanze del fatto ed approdando così ad un erroneo risultato.
    Infine, secondo il ricorrente, non erano stati in alcun modo considerati i dati di conoscenza ritraibili dalla lunga attività d’investigazione condotta dalla Direzione investigativa antimafia, i quali avrebbero permesso di affermare che l’avvocato non intratteneva altri rapporti personali o professionali sui quali potesse fondarsi una prognosi di reiterazione, se non quello professionale in oggetto.
    Per tutti questi motivi la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
    fonte teleconsul

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