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La Cassazione: giuste le critiche ai magistrati che sbagliano
La sentenza: i media possono «richiamare l’attenzione sulle conseguenze dell’operato della magistratura»
I mezzi di comunicazione possono «richiamare l’attenzione sulla gravità delle conseguenze dell’operato della magistratura » anche con «toni oggettivamente aspri e polemici» sui magistrati che sbagliano, specie se una decisione «incide sulla libertà dei cittadini». E «la continenza formale non può equivalere a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio ed anodino, in quanto in essa rientra il libero ricorso a parole sferzanti e pungenti». Dunque «la libertà di espressione va tutelata nel modo più ampio», seppur sempre «a condizione che l’autore non trascenda in attacchi personali diretti a colpire, sul piano individuale, senza alcuna finalità di interesse pubblico, la figura morale del soggetto criticato».
Con questa motivazione, la Corte di Cassazione ha assolto, perché il fatto non sussiste, un cronista de l'Unione Sarda dall’accusa di diffamazione aggravata. A querelarlo era stato un pm dopo un articolo che criticava aspramente l’operato del pm (e più ancora del giudice istruttore, poi censurato dal Csm) nel raccontare la storia di un indagato arrestato nel 1988 e suicidatosi in cella, la cui strenua dichiarazione di innocenza era emersa in modo inequivocabile soltanto dopo la morte. La Suprema Corte (quinta sezione penale, sentenza n. 37442) ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa del magistrato, parte civile nel procedimento, contro l’assoluzione in Corte d’Appello Palermo. Per la Cassazione, «le espressioni usate dal giornalista sono pienamente adeguate alla gravità del fatto narrato e sono dirette non certo ad aggredire la sfera di umanità e moralità del magistrato, ma a richiamare l'attenzione sulla gravità delle conseguenze dell'operato della magistratura, laddove incide sulla libertà dei cittadini». Il pm si era sentito diffamato da un articolo pubblicato sul quotidiano nel giugno del 1998, laddove si criticava il suo lavoro e più ancora quello del giudice istruttore per avere «fatto ingiustamente arrestare con un unico grave indizio» una persona «ritenuta responsabile di omicidio e rapina». Per questa vicenda, dopo il suicidio dell’indagato risultato innocente, il Csm non aveva adottato alcun provvedimento a carico del pm, mentre aveva inflitto al giudice istruttore la sanzione della censura. Il quotidiano, motiva la Cassazione, aveva pubblicato un articolo molto aspro nei confronti dei magistrati, e aveva usato espressioni «certamente forti e astrattamente idonee a ledere l’altrui onore ma utilizzate per descrivere le drammatiche sorti che portarono il detenuto al suicidio in carcere». Ma «le espressioni usate dal giornalista erano pienamente adeguate alla gravità del fatto narrato».
fonte il corriere
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