NORMATIVA: Risoluzione anticipata dei contratti a progetto
La normativa che disciplina i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati nella modalità «a progetto», in applicazione degli artt. 61 e ss del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003, prevede tra i requisiti formali obbligatori l'inserimento, nel documento che specifica i contenuti del contratto, dell'indicazione della durata determinata o determinabile della prestazione di lavoro assegnata. Si tratta di una connotazione imprescindibile del rapporto, in quanto l'individuazione di «uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente» comporta l'attribuzione al collaboratore dell'onere di operare in autonomia «in funzione del risultato» assegnato, quindi necessariamente nell'ambito di una dimensione temporale vincolata. In assenza di progetto, programma di lavoro o fase di esso, l'art. 69 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 dispone la conversione del rapporto da autonomo a subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione ed a tal fine l'indeterminatezza della durata della prestazione, evidenziata dal difetto formale rinvenibile nel testo contrattuale o comunque risultante dall'impossibilità di dimostrare la sussistenza di un termine di scadenza, può assumere particolare rilievo probatorio. La circ. Min. lav. n. 1 dell'8 gennaio 2004 ha infatti precisato che, seppure i requisiti formali individuati dall'art. 62 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 non siano richiesti ad substantiam ossia eventuali carenze non determinano l'illegittimità del contratto, tuttavia hanno valore decisivo, «in quanto in assenza di forma scritta non sarà agevole per le parti contrattuali dimostrare la riconducibilità della prestazione lavorativa appunto a un progetto, programma o fase di esso».
La normativa che disciplina i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati nella modalità «a progetto», in applicazione degli artt. 61 e ss del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003, prevede tra i requisiti formali obbligatori l'inserimento, nel documento che specifica i contenuti del contratto, dell'indicazione della durata determinata o determinabile della prestazione di lavoro assegnata. Si tratta di una connotazione imprescindibile del rapporto, in quanto l'individuazione di «uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente» comporta l'attribuzione al collaboratore dell'onere di operare in autonomia «in funzione del risultato» assegnato, quindi necessariamente nell'ambito di una dimensione temporale vincolata. In assenza di progetto, programma di lavoro o fase di esso, l'art. 69 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 dispone la conversione del rapporto da autonomo a subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione ed a tal fine l'indeterminatezza della durata della prestazione, evidenziata dal difetto formale rinvenibile nel testo contrattuale o comunque risultante dall'impossibilità di dimostrare la sussistenza di un termine di scadenza, può assumere particolare rilievo probatorio. La circ. Min. lav. n. 1 dell'8 gennaio 2004 ha infatti precisato che, seppure i requisiti formali individuati dall'art. 62 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 non siano richiesti ad substantiam ossia eventuali carenze non determinano l'illegittimità del contratto, tuttavia hanno valore decisivo, «in quanto in assenza di forma scritta non sarà agevole per le parti contrattuali dimostrare la riconducibilità della prestazione lavorativa appunto a un progetto, programma o fase di esso».
Ciò premesso in merito al necessario assoggettamento del contratto a progetto ad un vincolo di durata, il carattere autonomo del rapporto determina comunque, ai sensi della citata circolare ministeriale, modalità applicative elastiche, in quanto:
1. nell'ipotesi di assegnazione di un progetto, ossia di una attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un risultato finale, la durata determinata o determinabile deve essere semplicemente correlata alle caratteristiche dello stesso;
2. nell'ipotesi di assegnazione di un programma, ossia di una attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale, bensì parziale e destinato ad essere integrato da altre lavorazioni e risultati parziali, la determinabilità della durata può anche dipendere dalla persistenza dell'interesse del committente, quindi essere funzionale ad un avvenimento futuro, certo nell'an ma incerto nel quando.
In entrambe le ipotesi, pur non potendosi pattuire una rigida forma di eterodeterminazione delle modalità temporali di esecuzione delle prestazioni, stante il carattere autonomo dell'attività eseguita dal collaboratore, il contratto può correlare espressamente l'esecuzione del progetto, programma o fase di esso ad una scadenza predefinita, entro la quale il risultato finale o parziale deve essere prodotto.
Ne consegue la possibilità di una realizzazione: 1) puntuale,
2) anticipata 3) posticipata del progetto/programma da parte del collaboratore rispetto alla scadenza, determinandosi nella seconda ipotesi comunque l'adempimento dell'obbligo assunto con la stipulazione del contratto, nella terza di fatto un'inadempienza contrattuale. In particolare il punto VIII della circ. Min. lav. n. 1 dell'8 gennaio 2004 ha precisato che, indipendentemente dal termine apposto, qualora il progetto sia ultimato prima della scadenza il contratto deve intendersi risolto ed il committente è tenuto all'erogazione piena dell'importo concordato, che è necessariamente correlato al risultato e non alla tempistica di realizzazione. Viceversa qualora il termine non sia stato rispettato si determinano i consueti effetti civilistici conseguenti al mancato assolvimento delle obbligazioni, ossia la risoluzione comunque del rapporto nonché l'insorgenza di oneri risarcitori a carico del collaboratore.
La valutazione peraltro non può prescindere dalla considerazione delle specifiche intese, riferite al regime di durata, raggiunte dalle parti all'atto della stipulazione del contratto. Si possono infatti riscontrare varie tipologie di clausole regolamentari, contemplanti ad esempio:
1. l'attribuzione di un progetto/programma correlato ad una data di scadenza determinata. In tale ipotesi troverebbero applicazione le conseguenze succitate;
2. l'attribuzione di un programma correlato ad una data di scadenza indeterminata, rappresentata da un accadimento estraneo al rapporto - ad esempio l'interruzione dell'attività aziendale alla cui realizzazione concorreva il compito assegnato al collaboratore - che comporti la cessazione dell'interesse del committente alla prestazione dedotta nel contratto;
3. l'attribuzione di un progetto/programma correlato alla sola realizzazione del compito assegnato, con l'individuazione di un termine massimo decorso il quale comunque il rapporto si interrompa. In tale ipotesi qualora non fosse diversamente specificato dall'intesa, il compenso risulterebbe comunque riproporzionato alla quota di risultato realizzata;
4. l'attribuzione di un progetto/programma privo di data di scadenza, correlato quindi alla sola realizzazione del risultato finale o parziale assegnato, sicché un vincolo temporale indiretto potrebbe risultare solo dalla sopravvenuta impraticabilità oggettiva della prestazione in conseguenza dell'eccessivo decorso temporale.
La regolamentazione rinvenibile nel D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 non individua vincoli alla libera determinazione delle parti contrattuali in merito alle modalità di redazione delle clausole riferite alla durata dei rapporti a progetto, di fatto legittimando sia il ricorso alle formulazioni sopra richiamate sia ad altre similari. Una maggiore precisione della normativa in argomento contraddistingue invece la differente ipotesi dell'interruzione del progetto occorsa prima della scadenza temporale concordata.
L'art. 67 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 dispone infatti che committente e collaboratore «possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale». Il riferimento legislativo contempla evidentemente solo il caso della risoluzione operata unilateralmente da un contraente, potendosi comunque procedere, in applicazione della normativa civilistica generale, alla risoluzione consensuale anticipata del rapporto ed alla contestuale regolamentazione patrizia dei relativi effetti sulla compensazione economica spettante al collaboratore, altrimenti riproporzionata alla quota di progetto/programma realizzata.
Si consideri preliminarmente che, oltre all'indeterminatezza del quadro legislativo, non sussistono nemmeno indicazioni interpretative specifiche, amministrative o giudiziarie, in merito al regime di durata dei contratti in esame. La circ. Min. lav. n. 4 del 29 gennaio 2008, nell'operare recentemente una disamina dettagliata delle modalità di corretta instaurazione e gestione delle collaborazioni a progetto, si è infatti limitata ad invitare formalmente le Direzioni provinciali del lavoro a verificare, in occasione dell'esecuzione dell'ordinaria attività ispettiva, il rapporto tra la compensazione economica spettante al collaboratore ed «il risultato enucleato nel progetto, programma di lavoro o fase di esso». È stato in particolare ritenuto rilevante l'accertamento della legittimità delle proroghe eventualmente concordate, giustificabili solo con l'eventuale mancato raggiungimento del risultato pattuito nel termine inizialmente fissato. Il Ministero ha quindi implicitamente confermato la correlazione tra la realizzazione del progetto e la scadenza del contratto, riproponendo una formula peraltro già emersa nella giurisprudenza di merito. Rileva ad esempio, tra le prime sentenze in argomento, il pronunciamento del Tribunale di Torino, sezione lavoro, del 10 maggio 2006, che aveva asserito la necessità che la prestazione dedotta nel contratto a progetto si riferisse alla realizzazione di un risultato. In caso contrario il rapporto si qualificherebbe come subordinato trattandosi di una mera messa a disposizione di energie lavorative, illegittima quand'anche specificamente concordata ed illustrata nell'accordo scritto redatto ex art. 61 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003.
Gli orientamenti più recenti, amministrativi e giudiziari, hanno quindi ribadito la relazione sussistente tra i tempi di lavoro assegnati al collaboratore e l'esaurimento del rapporto per sopravvenuto completamento del progetto, limitandosi tuttavia ad individuare un criterio generale applicabile anche all'ipotesi di risoluzione anticipata, che può quindi configurarsi alternativamente come:
a) un completamento dell'incarico assegnato al collaboratore prima del termine massimo pattuito;
oppure
b) un inadempimento parziale.
Il discrimine consegue alla tipologia di clausola risolutiva adottata dalle parti, in quanto la scadenza temporale può essere stata concordata con modalità rigide od elastiche, come esemplificato nei precedenti paragrafi, producendo rilevanti conseguenze in termini di maturazione del compenso del collaboratore. Tuttavia per quanto attiene le modalità di cessazione unilaterale del rapporto, a prescindere dagli effetti economici indotti, la disciplina legislative non prevede distinzioni, atteso che il citato art. 67 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 si limita a proporre due motivazioni di carattere generale ossia il riscontro di circostanze che ledano oggettivamente il rapporto tra i contraenti, determinando la facoltà per il recedente di opporre alla controparte una giusta causa di interruzione anticipata del rapporto, oppure la libera determinazione assunta dagli interessati. Si consideri a tale proposito che:
- sino ad oggi non sono emerse indicazioni chiarificatrici della nozione di «giusta causa», atteso che sia i pronunciamenti amministrativi succitati sia la circolare Inps n. 9 del 22 gennaio 2004, che rappresentano ad oggi le uniche disamine generali della normativa in questione, non affrontano la problematica e difettano orientamenti chiarificatori nella giurisprudenza di merito o di legittimità. Per ragioni prudenziali può allora essere opportuno adottare un'interpretazione particolarmente rigida, identificando la fattispecie con i criteri emersi nei pronunciamenti giudiziari della Corte di Cassazione che hanno approfondito l'indicazione rinvenibile nell'art. 2109 c.c. e ripresa dall'art. 18 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, in relazione ai licenziamenti individuali di lavoratori subordinati. Seguendo tale approccio, la giusta causa di risoluzione unilaterale del contratto a progetto è allora da identificare con il riscontro di episodi che producano la decadenza del vincolo fiduciario sussistente tra i contraenti, conseguente ad esempio a gravi inadempienze del committente rispetto agli oneri assunti od alla commissione di atti illeciti di particolare gravità (lesione di obblighi di riservatezza, concorrenza illegittima, sottrazione non autorizzata di beni aziendali di rilevante valore etc.);
- l'art. 61 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 identifica come una delle modalità di risoluzione dei contratti a progetto, liberamente adottabile dalle parti, l'individuazione di termini di preavviso, senza tuttavia definirne la durata minima.
È da ritenersi peraltro prudenzialmente opportuna l'applicazione di termini di durata congrui rispetto ai contenuti del progetto, nel rispetto dei criteri civilistici generali afferenti la buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali rinvenibili nell'art. 1175 c.c..
Conseguentemente in presenza di intese di lunga durata, di contenuto complesso e/o articolato od anche solo di valore economico particolarmente rilevante, il preavviso dovrebbe logicamente risultare piuttosto prolungato, rispetto a quello apposto a contratti di durata ridotta, contenuto semplice, trattamento economico non elevato. È comunque sconsigliabile, per lo meno in carenza di indicazioni ministeriali o giurisprudenziali in tal senso, l'adozione di termini di preavviso di un solo giorno.
Più difficile risulta l'accertamento del significato attribuibile al rinvio legislativo ad altre modalità di cessazione anticipata del contratto determinabili dai contraenti, stante la forte genericità. della formulazione adottata.
L'ampiezza delle ipotesi prospettabili, formalmente non delimitata in alcun modo dal legislatore, deve infatti trovare comunque contemperamento nei criteri civilistici generali applicabili alla risoluzione dei contratti, che disciplinano - condizionandole - le ipotesi risolutive per inadempienza di un contraente, eccessiva onerosità, impossibilità sopravvenuta. In attesa di chiarimenti, sarebbe pertanto opportuno circoscrivere la scelta del criterio risolutivo alla sola definizione delle modalità di quantificazione e decorrenza dei termini di preavviso.
In merito poi alle conseguenze sanzionatorie di eventuali inadempienze del committente o del collaboratore rispetto al regime dei vincoli di durata succitati, si consideri che trattandosi di rapporti di collaborazione non trova applicazione né la normativa sulla risoluzione dei contratti di lavoro subordinato, rinvenibile nel combinato disposto delle leggi n. 604 del 15 luglio 1966 e n. 108 del 11 maggio 1990, né il criterio generale di libera recedibilità con preavviso che attiene le dimissioni del lavoratore ai sensi dell'art. 2118 cc.. Non sussiste pertanto, in caso di recesso anticipato disposto dal committente, il rischio di ricostituzione forzosa del rapporto o di applicazione delle indennità risarcitorie previste dall'art. 18 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, né risulta ipotizzabile dal parte del collaboratore la cessazione dell'attività affidatagli senza alcun onere di giustificazione. Piuttosto è ipotizzabile l'insorgenza, nelle ipotesi di violazione dell'art. 61 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003, di un gravame risarcitorio proporzionato agli effetti dell'inadempienza commessa, che consideri quindi il valore dei compensi non erogati dal committente a motivo della risoluzione anticipata del contratto oppure le conseguenze della mancata prestazione resa dal collaboratore, oggetto entrambi di approfondimento e quantificazione in sede giudiziaria. Peraltro qualora l'alea correlata a tali circostanze rappresenti un elemento di incertezza eccessivo, è possibile che committente e collaboratore condividano contestualmente all'attivazione del rapporto od anche successivamente - non sussistendo limitazioni in tal senso - una clausola penale ex art. 1382 c.c., che definisca anticipatamente l'importo risarcitorio dovuto alla controparte nell'ipotesi di inadempienze.
fonte: Il Quotidiano Ipsoa
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