Risoluzione del contratto di lavoro per mancata presentazione in servizio
Lo stato di handicap di un familiare non giustifica la mancata presentazione in servizio
Lo Statuto degli impiegati civili dello Stato, tutt’ora in vigore per le parti non abrogate, stabilisce che colui che ha conseguito la nomina, se non assume servizio senza giustificato motivo entro il termine stabilito, decade dalla nomina.
Il giustificato motivo, nella costante giurisprudenza della giustizia amministrativa è rappresentato da un ostacolo obiettivo, che effettivamente impedisca di assumere servizio nell’ufficio di prima destinazione. Ora, un lavoratore sottoscriveva un contratto individuale di lavoro con il Ministero di Grazia e Giustizia, in base al quale avrebbe dovuto assumere servizio, nel giorno indicato, presso il Tribunale di Ivrea, per svolgervi le mansioni di assistente addetto agli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti. ma, poco prima del giorno stabilito per la presentazione in servizio, il suddetto comunicava l’impossibilità di assumere servizio a causa di gravi motivi familiari. L’Amministrazione, in considerazione di ciò, differiva il giorno stabilito per la presentazione in servizio, ciò che avveniva anche in seguito a nuove istanze dell’interessato. Tuttavia, anche prima del nuovo termine stabilito per la presentazione in servizio nel Tribunale di Ivrea, il lavoratore, con apposita istanza chiedeva all’amministrazione di poter fruire dei benefici di cui al comma 5° dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992, adducendo la necessità di assistere in Roma la madre handicappata. Ai sensi della norma citata, il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso a altra sede. In altri termini il lavoratore, che pure non aveva preso servizio, chiedeva di essere assegnato a un’altra sede. L’Amministrazione respingeva l’istanza, con l’argomento che lo stato di handicap della genitrice non integrava gli estremi della gravità previsti dall’art. 33, comma 5°, della legge citata. Nel frattempo, l’Amministrazione, non avendo l’interessato preso servizio il giorno stabilito, dichiarava la risoluzione del contratto di lavoro in precedenza stipulato. Avverso tali provvedimenti, il lavoratore promuoveva ricorso al Tar del Lazio. Ma il Tar respingeva il ricorso. Avverso la statuizione del Tar, il ricorrente ha promosso appello al Consiglio di Stato. Il Consiglio si è pronunciato con la Decisione n. 7501/2009, rigettando l’appello. Il ricorrente ha proposto di nuovo la censura già dedotta in primo grado, ovvero che il beneficio in questione, per essere riconosciuto, non necessita di essere connotato da gravità, dovendosi tenere distinta l’ipotesi contemplata dal comma 5° da quella del comma 3° della stesso art. 33 della legge citata, il quale stabilisce che, colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, ha diritto a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno. Il Consiglio ha ritenuto di trattare prima la questione inerente la risoluzione del contratto, osservando che tale provvedimento è espressione di un potere dell’Amministrazione che ha fondamento nell’art. 9 ultimo comma del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, contenente lo Statuto degli impiegati civili dello Stato, per questa parte tutt’ora applicabile alla fattispecie in esame, non essendo stato abrogato dalle leggi successive che hanno determinato la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego. Ai sensi di tale disposizione,
colui che ha conseguito la nomina, se non assume servizio senza giustificato motivo entro il termine stabilito, decade dalla nomina, laddove il giustificato motivo, come già detto, nella costante giurisprudenza amministrativa è rappresentato da un ostacolo obiettivo, che effettivamente impedisca di assumere servizio nell’ufficio di prima destinazione, dovendosi qualificare come un onere specifico a carico del soggetto quello di presentarsi in servizio alla data indicata dall’Amministrazione che ha indetto la procedura selettiva e nella quale lo stesso si è posizionato utilmente, con la conseguenza che la mancata presentazione comporta, di per sé, la legittima emanazione del provvedimento di decadenza. Il Consiglio ha anche osservato che la condizione di handicap della madre dell’appellato, quand’anche la si dovesse ritenere grave, non integra, con tutta evidenza, l’ipotesi del giustificato motivo, la cui presenza evita il provvedimento di decadenza dal rapporto di lavoro. Su tale piano di considerazione, occorre tenere distinta la condizione di handicap del familiare, che consente al dipendente che abbia preso servizio di ottenere il beneficio di cui al comma 5° dell’art.33 delle legge n. 104 del 1992, da quella integrante l’obiettivo impedimento che alla data stabilita non consente al medesimo di prendere servizio.
Poiché per evitare la decadenza è sufficiente l’adempimento dell’onere della presenza in servizio nel giorno stabilito, la necessità di assistere continuativamente un familiare con handicap, ancorché grave, non presenta il carattere di effettività necessario affinché possa ritenersi avverato l’impedimento a assumere servizio, infatti, se così fosse, a rigore, nessuna sede, neppure quelle coincidenti con la dimora dell’handicappato da assistere, potrebbe consentire al dipendente di prendere servizio, non potendo egli allontanarsi da tale dimora neppure per un giorno.
Per tale ragione, la mancata presentazione dell’appellato, vale a dire l’inadempimento a un suo preciso onere, ha legittimato la risoluzione del rapporto di lavoro. Quanto alla questione in merito alla gravità dell’handicap, il Consiglio ha ribadito che non può essere condivisa la tesi del lavoratore secondo la quale tale beneficio può essere attribuito al dipendente anche quando l’handicap del familiare non sia grave, non richiedendo tale gravità l’invocato comma 5° dell’art. 33 della Legge n.104 citata, a differenza di quanto statuito dal precedente comma 3° dello stesso articolo. La tesi dell’appellante, in effetti, privilegia una intepretazione di carattere letterale alla quale deve contrapporsi l’interpretazione di carattere sistematico seguita dalla giurisprudenza e che viene animata dallo scopo di evitare, in ossequio alla finalità dell’art. 33 della già citata legge n. 104, che il beneficio in questione abbia una base applicativa la quale, dilatandosi, sacrifichi oltre misura le esigenze gestionali dell’amministrazione pubblica.
http://www.studiolegalelaw.net/consulenza-legale/15107
0 comments: