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  • Il danno morale e la giurisprudenza della Corte di Cassazione - Avv Guido Alpa

    Il danno non patrimoniale rivisitato

    1. La pronuncia della Cass.SS.UU. n. 3677 del 2009 
    Una delle sentenze più recenti sul danno nonpatrimoniale alla persona (del 16 febbraio 2009, n. 3677) – resa con riguardo ad una fattispecie concernente il licenziamento illegittimo – ha confermato i principi di diritto sanciti dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26972 dell’ 11 novembre 2008 (e con le sentenze depositate nello stesso giorno, ed aventi il medesimo tenore, nn. 26973, 26974, 26975).  Riprendendo in sintesi le statuizioni della Suprema Corte, i giudici hanno precisato che:
    (i);
    (ii)
    (iii) < il c.d. danno esistenziale, inteso quale “il pregiudizio alle attività non remunerative della persona” causato dal fatto illecito lesivo di un diritto costituzionalmente garantito, costituisce solo un ordinario danno non patrimoniale, che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato>;
    (iv) il diritto al risarcimento del danno morale, in tutti i casi in cui esso è ritenuto risarcibile, .
        La formulazione sintetica dei principi sconta , necessariamente, le luci e le ombre, le tonalità via via graduate, le nuances
    a cui si può ricorrere nella motivazione della sentenza, non solo articolando meglio il ragionamento, ma ricorrendo a quelle argomentazioni in sequenza che riescono a comunicare in modo più compiuto il senso del precetto che si vuole porre, o ribadire.
    In questo caso, la sintesi non compie però soltanto una estrapolazione degli assunti contenuti nelle sentenze richiamate, ma assolve a due funzioni ben più incisive: da un lato, segna in termini per così dire conclusivi l’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte, e dall’altro ridisegna ancora una volta l’ambito del danno morale, riducendone i confini, semplificandone ulteriormente le figure in cui esso ordinariamente si concreta,  stemperando il danno “esistenziale” nella categoria unitaria del danno non patrimoniale.
        Proprio perché non perfettamente simmetrica alle sentenze cit. del 2008, con le quali le Sezioni unite avevano rielaborato in modo critico, sistematico e compendioso le categorie giuridiche del danno , sulla base della precedente svolta segnata dalle sentenze nn. 8827 e 8828 del 2003- per la verità in parte confermate e in parte contrastate da una lunga teoria di decisioni  che hanno portato alla ordinanza interlocutoria della Terza Sezione del 25 febbraio 2008 n. 4712 - e perché più distante dalle sentenze  del 2003 dalle quali  le Sezioni unite  avevano preso le mosse, si può dire che questa più recente presa di posizione della Corte ne costituisce l’ attuale orientamento. Ciò anche al fine dell’accertamento della ammissibilità dei ricorsi operato secondo le nuove regole introdotte dalla c.d. “filtro” (e sempre che si possa considerare “orientamento” l’ultima pronuncia pubblicata   delle Sezioni Unite che definiscano il punto su una problematica controversa).
        Proviamo dunque a decrittare la motivazione della pronuncia e a renderne fruibile il significato.


    2. Elementi di interpretazione. (a) La terminologia
       
    Nei passi  sopra riportati si contiene il nucleo della pronuncia n. 3677/2009 sul punto del danno risarcibile; il profilo del danno costituisce solo uno dei capi della motivazione, dal momento che la questione agitata era di ben altra portata:  il ricorso , infatti, era stato  proposto dai dirigenti di un Comune che lamentavano di essere stati illegittimamente licenziati perché  la pianta organica era stata modificata sopprimendo le qualifiche dirigenziali e quindi privandoli  del loro impiego. La Corte ha accolto le loro ragioni, ma non ha  ammesso il risarcimento del danno esistenziale, per evitare la duplicazione di risarcimento, avendo loro riconosciuto  il danno morale.
    I principi di diritto statuiti in materia di danno  sono enunciati quale “ratio decidendi”, e si ricollegano ad una fittissima tela  giurisprudenziale intessuta da un decennio a questa parte.
        Semplificando i termini, i giudici della Suprema Corte impiegano in modo fungibile i sintagmi “danno morale “ e “danno non patrimoniale”, riferendosi a quella particolare tipologia di danno che è disciplinata , nel codice civile, dall’art. 2059. L’ impiego dei termini è strettamente collegato con le categorie concettuali, di cui essi sono la formulazione espressiva e sintetica:ma non  è  un ritorno al passato, perché  si riprende  la semplificazione che  in dottrina e giurisprudenza ha retto le sorti  di questo tipo di danno fino agli anni Settanta, ma si cambia il significato di “danno morale”.
    Come si ricorderà  per un trentennio, dalla nuova formulazione del codice civile,  il significato di danno   “morale” è stato inteso in senso restrittivo, perché vincolato alla commissione di un reato,  soggettivo, perché collegato solo  a sofferenze e patemi d’animo,  ed univoco, perché equiparato al danno non patrimoniale, quasi ne fosse sinonimo,  pur riferendosi la rubrica e il precetto dell’art . 2059 del codice civile non al danno morale , bensì  al danno “non patrimoniale”.
    La giurisprudenza, seguendo le indicazioni degli pratici del settore, e degli studiosi di medicina legale, aveva però moltiplicato le figure di danno, introducendo, sul versante del danno patrimoniale, il danno alla capacità lavorativa generica, e, ora mantenendolole in questo comparto, ora assegnandole  al comparto del danno morale, aveva inventato le figure del danno alla vita di relazione, del danno estetico, poi del danno alla vita familiare, del danno da vacanza rovinata,  e così via.
     A partire dagli anni Settanta la bipartizione danno patrimoniale/danno morale è stata oggetto di rivisitazione dottrinale: si è recuperato un significato più ampio della espressione di “danno non patrimoniale”, si è inventato il “danno biologico”, si è trasformato il danno biologico in “danno alla salute”, si è discusso sulla sua natura, sì che il danno biologico (o danno alla salute) ha perduto la sua natura di danno patrimoniale (assegnatagli fintanto che il comparto del danno non patrimoniale era  circoscritto al danno morale soggettivo da reato), ha assunto la natura di “tertium genus”, per poi  assumere quella del danno non patrimoniale. Il danno biologico era inteso come la compromissione della integrità fisica e del danno psichico conseguente, derivante dalla violazione dell’art. 32 Cost., quindi di un valore costituzionalmente tutelato,  ed era liquidato secondo tabelle anch’esse di formazione giurisprudenziale.
    In dottrina è emersa però un’ altra figura di danno, il c.d. danno esistenziale, corroborata da una cospicua produzione giurisprudenziale di merito, in particolare dei giudici di pace, e consacrata da molte pronunce della Cassazione (inizialmente, dalle sentenze nn. 7713 del 2000 e 9009 del 2001; poi dalle stesse Sezioni unite con sentenza n.6572 del 2006): un danno costituito dai disagi e turbamenti che alterano la vita quotidiana,  non sono ascrivibile alle sole  sofferenze e patemi d’animo né alle sole conseguenze di un reato , e tali da non provocare una lesione psico-fisica e quindi non configurabile come  danno biologico o danno alla salute.
    Era necessario mettere ordine,specie in un settore nel quale si è sempre  registrato un altissimo contenzioso, e un conflitto interessi economici di grande rilevanza, oltre che di valori costituzionalmente garantiti : occorreva dare direttive alle vittime, ai convenuti, ai loro difensori, per poter assicurare (un simulacro di) certezza del diritto; la “predictability” delle pronunce dei giudici, in particolare di quelle della Suprema Corte, è un fattore essenziale per l’esercizio della giustizia e per soddisfare le aspettative dei cittadini.
    La funzione nomofilattica della Corte si è perciò manifestata nelle sentenze cit. del 2003, in cui si è distinta l’area del danno aquiliano in diverse categorie.Ma il percorso delle idee non è stato lineare, e così la rappresentazione dei modelli.


    3.(b) Categorie concettuali e modelli di configurazione del danno non patrimoniale.

        Dal 2003  si possono  annoverare diversi modelli di sentenza, che  rispondono a diverse categorizzazioni del danno  ed assolvono quindi anche una funzione didascalica.

    (I)Nel  modello inaugurato  dalle Sezioni unite con le sentenze del 2003  il danno non patrimoniale è definito unitariamente come . Si tratta di un modello tripartito: il danno può essere patrimoniale,  “biologico”e “morale soggettivo”(sofferenze e patemi d’animo); il danno  esistenziale non è ancora assurto a categoria di danno,  autonomamente individuata e legittimata, anche se alcune sentenze precedenti avevano provveduto a fare queste due operazioni; tuttavia,  l’ambito dell’art. 2059 non è più circoscritta alle ipotesi di reato.

    (II) Questo modello è corretto dalla Corte costituzionale (con sentenza  n. 233 del2003) la quale aggiunge al modello binario del danno non patrimoniale  un’altra categoria di danno, il danno esistenziale, inteso però come danno derivante dalla lesione di interessi inerenti la persona aventi  rango costituzionale e non ascrivibili al danno alla integrità fisica e psichica. E’ la interpretazione “costituzionalmente orientata” dell’art. 2059, che perciò non è circoscritta alle sole ipotesi di reato, lascia  spazio all’ingresso di una voce di danno diversa dal danno biologico e dal danno morale in senso soggettivo e apre dunque nuove prospettive per il danno alla persona.

    (III) Nel frattempo interviene il legislatore con una normativa dapprima riservata ai danni da circolazione stradale  e poi con estesa a tutti i tipi di lesione psicofisica; questa figura di danno è denominata “danno biologico” ma in realtà definisce il tipo di lesione dell’interesse protetto e ne fissa  i criteri di liquidazione; il “danno biologico” è   definito come : così recitano gli artt. 138 c.2, lett.a) e 139 c.1 lett.a), con cui si sono raccolti nel codice di settore delle assicurazioni, il d.lgs.7 settembre 2005 n. 209, alcuni lacerti sparsi nella legislazione speciale.
     L’intervento del legislatore non ha solo finalità pratiche: compito della dottrina è di proporre argomenti interpretativi e procedere alle definizioni e classificazioni (in questo caso, ri-classificazioni) tenendo conto del dato normativo; compito della giurisprudenza di legittimità quello di tradurre nel principio di diritto applicabile alla fattispecie tutti gli elementi desumibili dal dato normativo e dalla sua interpretazione pregressa, dottrinale e giurisprudenziale.
    Il fatto che il legislatore abbia denominato quella figura come “danno biologico” e non come “danno alla salute” non implica ovviamente che non sia più corretto, scientificamente, preferire la seconda espressione; il fatto che  questo  danno sia una “figura” oppure una “voce” oppure un “tipo” di danno che rientrano nell’ ampio comparto del danno non patrimoniale non è invece una scelta dottrinale o giurisprudenziale, ma è precetto di legge. E’ pur vero che l’interprete (in sede dottrinale e in sede giurisprudenziale) può plasmare, manipolare, ritagliare il dato normativo. Ma la sua opera deve pur sempre farsi carico delle scelte legislative, che , in questo caso,sono inequivoche: il danno biologico è una categoria normativa, un tipo di danno che il legislatore affianca al danno patrimoniale; esso può essere di lieve o di non lieve entità, e deve essere liquidato secondo le prescrizioni legislative. Che poi abbia natura di danno non patrimoniale e quindi rientri nella categoria generale del danno non patrimoniale  è altra cosa.
    Al danno esistenziale il legislatore non ha riservato la medesima rilevanza; questa “figura” ( non dunque un tipo di danno) è affidata alla elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, nei limiti consentiti dall’ordinamento.

    (IV) La funzione nomofilattica della Suprema corte è messa a dura prova dalle pronunce che si susseguono dopo il 2003.
        Tra le incertezze interpretative emerge anche quella concernente la atipicità del danno patrimoniale e la tipicità del danno non patrimoniale. Una distinzione assai discutibile, dal momento che , ordinariamente, la “atipicità” o la “tipicità” sono due modi di qualificare l’illecito , non il danno, ed in particolare la previsione dell’ambito di estensione della ingiustizia del danno, intesa come lesione di un interesse protetto; se ci si riferisce ad una serie precostituita, prevista legislativamente, di interessi protetti, come avviene nel sistema tedesco, l’illecito è tipico; se invece ci si riferisce ad una clausola generale, l’illecito è atipico. Il danno,inteso (correttamente) come danno-conseguenza, non è né tipico né atipico: è l’effetto della violazione di un interesse giuridicamente protetto , risarcito nelle forme e nei limiti stabiliti dalla legge.
        Occorreva dunque un altro intervento chiarificatore.Intervento sollecitato dall’ ordinanza della Terza Sezione della Corte,  n. 4712 del 2008,  che ha rimesso al Primo Presidente,   per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, la soluzione di due gruppi di problemi:  il primo, composto di otto quesiti,  concerneva propriamente la definizione e gli effetti del danno esistenziale; il secondo, composto da nove quesiti, riguardava  in generale la precisazione delle categorie concettuali del danno. Lo spartito dunque era aperto ed  imponeva- ove lo si fosse ritenuto utile – alle Sezioni unite di rispondere a tutti i quesiti e quindi di scrivere una sorta di trattatello della materia.
        L’ordinanza interlocutoria,  chiara e completa, configurando tutte le questioni, generali e particolari,  le faceva precedere da una articolata presentazione e,  sembrava  suggerire la soluzione di alcune di esse.

    (V) Le Sezioni unite, con le quattro sentenze del 2008,  in un certo senso rivoluzionarie, perché hanno segnato come una pietra miliare il percorso interpretativo dei giudici in materia di danno extracontrattuale (invadendo però anche il campo del danno contrattuale, nella misura in cui è stato ammesso il danno morale contrattuale) hanno dato precisa risposta a tutti i quesiti sollevati dall’ordinanza della Terza Sezione, non sempre però seguendone i suggerimenti.
        Poco importa che il corpo del testo presenti  differenze letterarie, quasi della “ mano “ che lo ha redatto; se così fosse, si tratterebbe di un fatto positivo, si avrebbe la prova del concorso di idee nel dialogo a più voci  (interne ,  affidate ai precedenti, ed esterne, date dai contributi dottrinali),  per pervenire ad un progetto interpretativo uniforme, univoco, definitivo, o , come si è detto per l’appunto,  ad un “manifesto”  della corte di legittimità sul danno alla persona.
        In questo modello la Corte :
    (i)ha confermato la dizione letterale dell’art. 2059, e con riguardo all’illecito configurabile come reato (anche solo astrattamente), ha stabilito che il danno non patrimoniale è risarcibile nei casi stabiliti dalla legge e nei casi in cui gli interessi siano meritevoli di tutela in base all’ordinamento, anche se non presidiati da norme costituzionali;
    (ii) ha stabilito che i “pregiudizi di tipo esistenziale” possono essere riconosciuti solo se conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente protetto, ma ha aggiunto che occorrono altri  due elementi  perché queste lesioni siano risarcibili: il danno deve essere “grave” e il pregiudizio deve essere “serio”; in questo senso le Sezioni unite hanno riconosciuto la legittimità della figura ( e non del tipo ) del danno esistenziale, ma
    (iii) gli hanno  assegnato il significato che si era consolidato in giurisprudenza accogliendo un filone dottrinale , costituzionalmente orientato, tra i molti che si erano espressi a favore di esso, e quindi restringendone l’operatività; in più ne hanno circoscritto l’ambito perché, a differenza delle altre figure o tipi  di danno hanno escluso il risarcimento del danno bagatellare e del danno derivante dalla lesione di interessi non costituzionalmente rilevanti;
    (iv) hanno confermano che il danno risarcibile deve essere inteso come  danno –conseguenza, e quindi deve essere provato, essendo escluso che esso sia “in re ipsa”;
    (v) hanno precisato che il danno non patrimoniale non è  suscettibile di suddivisione in sotto-categorie, trattandosi di una categoria generale, della quale si possono, al limite, dare illustrazioni mediante figure (ma non categorie, o, aggiungo io, di tipi) di danni;
    (vi) hanno ammesso che il danno non patrimoniale può essere risarcito anche in caso di inadempimento contrattuale.
        La dottrina ha reagito in vario modo, confrontando le scelte effettuate dalla Suprema Corte con le diverse teorie che si dividono il campo. Si sono usati toni entusiastici, si è espressa condivisione con toni moderati, si è formulata una critica serrata,   si  sono fatte molte puntualizzazioni; si è addirittura suggerito di riproporre la questione della legittimità dell’art. 2059 (nella lettura datane dalle Sezioni unite) alla Corte costituzionale,  paventando una violazione delle norme costituzionali e delle Carte dei diritti internazionalmente vincolanti (ai sensi dell’art. 117 Cost.). Il dialogo con la giurisprudenza ha ricevuto nuovo alimento; comunque  le sentenze delle Sezioni unite costituiscono un precedente importante, equiparabile alle svolte del caso Saiwa sulla responsabilità del fabbricante, del caso Meroni sulla lesione dei credito, dei casi concernenti il danno biologico, dei casi che hanno ammesso la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo.

    (VI) L’ultimo modello è dato dalla sentenza n. 3677 del 2009.  Qui l’area del danno non patrimoniale si identifica con quella del danno “morale”; ma l’espressione danno morale è intesa in senso lato; si sottolinea che la categoria del danno non patrimoniale è unitaria, e quindi la concezione del danno è bipolare, dividendosi l’area tra  danno patrimoniale  e danno non patrimoniale ; si precisa che il danno morale è risarcibile sia nei casi stabiliti dalla legge (dal codice penale e dalle leggi speciali) sia nei casi di violazione di valori della persona  costituzionalmente protetti; in questo senso  il danno esistenziale è definito come danno derivante dalla violazione di un , e quindi non ha autonoma rilevanza.


    4. Modelli esportabili.   

        E’ un modello più semplificato rispetto al trattatello del 2008, oppure è una nuova correzione di rotta? Le norme debbono avere una interpretazione orientata costituzionalmente; si discute se debbano avere anche una interpretazione “orientata alle conseguenze”; certamente debbono avere una interpretazione praticabile, che le renda applicabili senza oscurità, contraddizioni, ed eccessive astrazioni.  Le categorie concettuali debbono essere chiare, la terminologia precisa, le soluzioni univoche,  per poter orientare l’interprete, per poter essere impiegate nella difesa dei diritti, per poter essere persuasive, per poter essere fondative di decisioni incontrovertibili. L’arte della decisione richiede dunque sacrifici, sia delle finezze letterarie ,sia delle raffinatezze speculative, per poter approdare ad una giustizia praticabile. Occorre in altri termini convincersi della necessità di un maggior pragmatismo.
        D’altra parte, in un processo di convergenza dei modelli europei, è possibile “esportare” il nostro modello di valutazione del danno alla persona?
        Se raffrontiamo gli ultimi due modelli con la disciplina proposta dal Draft Common Frame of Reference, nella versione del febbraio 2009, scopriamo che molti sono i punti di contatto, anche se le regole proposte dai redattori dl Draft sono per un verso più dettagliate di quelle del nostro codice civile, per altro verso meno articolate della disciplina emergente dalla creazione giurisprudenziale.
        L’ingiustizia del danno emerge dalla formula generale di apertura (Book VI, 1:101) in base alla quale < a person who suffers legally relevant damage….> ha diritto al risarcimento del danno dal soggetto che lo ha causato con dolo o colpa o è altrimenti imputabile per aver causato il danno>; il danno è “giuridicamente rilevante” quando è così definito dalle regole del Draft,  quando la perdita o la lesione deriva “dalla violazione di un diritto riconosciuto dalla legge”, oppure quando  deriva dalla violazione di un (VI.-2:101). Si individuano poi diverse categorie di interessi protetti, dalla dignità-libertà-privacy alla informazione , all’affidamento, alla proprietà e al possesso, all’esercizio di una professione, all’ambiente, alla misrepresentation, alla induzione all’inadempimento.
        Il danno alla persona  (VI.-2:201 ss.) è inteso in senso restrittivo, come lesione fisica  e della salute, ed include le spese mediche e di cura ragionevolmente sostenute; si ammette il danno da morte ai congiunti; si ammette il danno non patrimoniale (“pain and suffering and impairment of the quality of life”)  a favore dei congiunti.
        In fin dei conti, il nostro modello è più preciso, più garantista, più compiuto. Ma non dobbiamo eccedere nelle teorizzazioni, perché potrebbe diventare recessivo.

    fonte http://www.consiglionazionaleforense.it//on-line/Home/BancaDation-line/AttivitadellaPresidenza/articolo6279.html

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