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  • Processi lumaca: il diritto all'equa riparazione

    La L. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto) ha introdotto in Italia il principio della riparazione delle violazioni dell'art. 6 della Convenzione Europea che detta le regole per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali di fronte alle pubbliche giurisdizioni.

    Anche nel nostro Paese viene, quindi, riconosciuta la necessità di assicurare il rispetto di un termine ragionevole di durata dei processi, siano essi civili, penali o amministrativi.

    Le vittime delle cause lumaca possono, quindi, essere indennizzate (in tempi mediamente brevi), citando in giudizio direttamente lo Stato.

    Diverse, ad oggi, sono le condanne già pronunziate ed i chiarimenti offerti dagli interpreti sugli aspetti più dibattuti.

    La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4524, del 24 febbraio 2010, ha risolto il contrasto tra le tesi di chi riconosceva natura risarcitoria alle somme rivendicabili dai cittadini e coloro i quali attribuivano alle stesse una valenza di generico indennizzo non strettamente proporzionato al danno patito.

    La propensione per l'uno o per l'altro orientamento determina effetti anche sulla definizione della prescrizione del sottostante diritto.

    Se si abbraccia la prima posizione, il termine concesso per il suo esercizio sarebbe di 5 anni, ove si condividesse l'altra, si estenderebbe a 10.

    Ebbene, il Giudice delle leggi ritiene che il debito dello Stato non derivi da un illecito in senso proprio, ma da un dovere normativo - quello della sollecita definizione dei processi - simile all'obbligo di adempiere un contratto in tempi circoscritti con certezza.

    Pertanto, nel procedimento azionabile per l'ottenimento dell'indennizzo è richiesto semplicemente l'accertamento del mancato rispetto dei dettami della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (L. 848/1955).

    Di qui la conseguenza che gli interessi legali possono decorrere dalla data della domanda di equa riparazione.

    Per lo stesso motivo si esclude la possibilità di ottenere la rivalutazione monetaria della somma.

    Alla luce delle nuove pronunzie in materia - l'ultima delle quali si è appena ricordata - la procedura a disposizione del cittadino è riassumibile come segue:

    § Requisiti per l'azione

    La domanda è proponibile se sussistono tre presupposti: 1) l'irragionevole durata del processo; 2) l'esistenza di un danno; 3) il nesso causale tra il primo e il secondo elemento.

    * Soggetti legittimati

    Può ricorrere presso le Corti italiane per ottenere l'indennizzo chiunque, nel processo, abbia assunto la qualità di parte. Il diritto è esercitabile, infatti, a prescindere da quello che sia l'esito della lite che si è protratta nel tempo.

    La facoltà è riconosciuta anche agli eredi degli originari aventi causa.

    * Termine e condizioni

    La domanda va proposta dinanzi alla Corte di Appello, in pendenza del processo o entro i sei mesi dalla chiusura dello stesso.

    Il Giudice adito non deve essere quello che insiste sul territorio del circondario del Tribunale presso il quale si è instaurato il processo lumaca.

    I dieci anni indennizzabili sono solo quelli eccedenti il termine di ragionevole durata del rito.

    * La ragionevole durata

    Siffatto lasso temporale, come stabilito dalla sentenza della Cassazione n. 18221/2009, è pari a tre anni per ogni grado di giudizio.

    Non è possibile, se il procedimento sia avanzato per più gradi, riferire la richiesta di indennizzo ad un solo di essi (Cass. 23506/2008).

    La Corte di Strasburgo ha stabilito che la durata ragionevole, pur dovendo, in linea di massima, non superare i tre, due ed un anno, rispettivamente per il primo, secondo e terzo grado, possa e debba essere stabilita, in ogni Paese aderente alla Convenzione, tenendo conto anche di parametri specifici di ordine derogatorio.

    Tra questi, la difficoltà della lite ed il comportamento processuale delle parti.

    * Il valore dell'indennizzo

    Per ogni anno eccedente la normale durata della causa sono riconosciuti dai 1.000,00 € ai 1.500,00 € .

    La Cassazione, infatti, con la pronunzia n. 10415/2009, ha sottolineato che: “occorre collocare l'applicazione della legge in un sistema economico e di finanza pubblica caratterizzato dalla limitatezza delle risorse disponibili.”

    Se si legiferasse disattendendo questa condizione si rischierebbe di contrastare le norme costituzionali volte alla tutela dell'equilibrio finanziario dello Stato.

    * Danno: prova, valutazione e liquidazione

    Dalla violazione del termine ragionevole del processo può derivare sia un pregiudizio patrimoniale, sia uno non patrimoniale.

    Il primo deve essere conseguenza immediata e diretta del fatto generatore. Per ottenerne l'equa riparazione occorre dimostrare sia il danno emergente, sia il lucro cessante patiti.

    Il secondo - per espresso riconoscimento delle Sezioni Unite della Cassazione - non necessita di alcun sostegno probatorio.

    Non spetta al ricorrente dimostrare di averlo sofferto, ma all'Amministrazione convenuta di non averlo cagionato nella circostanza.

    In sostanza, l'autorità giudiziaria deve riconoscerlo e liquidarlo.

    fonte http://www.avvocati24.ilsole24ore.com/EsplosoLegale.aspx?Identificativo=11497983&IdFonteDocumentale=5

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