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Anche il medico di una clinica che altera la cartella di un paziente risponde di falsità in atto pubblico
Il medico che lavora in una clinica privata, anche solo parzialmente convenzionata con il servizio sanitario nazionale,
svolge una funzione pubblica certificativa e risponde di falsità in atto pubblico se sostituisce o altera la cartella clinica di un suo paziente.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza 19557 del 24 maggio 2010, respingendo il ricorso di due medici di una clinica de L'aquila, accusati di falsità materiale in atto pubblico, aggravato dal fine di occultare il reato di lesioni colpose ai danni di una paziente da loro operata. I due, in concorso tra loro, si erano fatti consegnare la cartella clinica dalla donna e l'avevano sostituita con un'altra, contenente una descrizione dell'intervento chirurgico in parte discordante rispetto alla prima. L'intento era quello di tutelarsi preventivamente da una possibile denuncia da parte della paziente, che lamentava disturbi probabilmente ricollegabili alla cattiva riuscita dell'intervento. I medici contestavano la sussistenza del reato di falsità in atto pubblico, dal momento che la clinica privata in cui operavano era solo in parte convenzionata con il servizio sanitario nazionale, dunque loro non potevano considerarsi pubblici ufficiali. La Suprema Corte, d'accordo con l'interpretazione fornita dai giudici di merito, ha invece smentito tale tesi difensiva, stabilendo che "non può negarsi che svolga un funzione pubblica certificativa il sanitario che, prestando la propria opera professionale in una struttura privata convenzionata col servizio sanitario nazionale, attenda alla compilazione della cartella clinica".
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