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  • Cassazione Civile: trasformazione di luce in veduta su un cortile comune

    "In tema di condominio, ai sensi dell'art. 1102, primo comma, cod. civ., ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini. L'apertura di finestre ovvero la trasformazione di luce in veduta su un cortile comune rientra nei poteri spettanti ai condomini ai sensi
    dell'art. 1102 cod., civ. tenuto conto che i cortili comuni, assolvendo alla precipua fmalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, ben sono fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva".

    Secondo la Cassazione: "Ed invero, in considerazione della peculiarità del condominio, caratterizzato dalla presenza di una pluralità di unità immobiliari che insistono nel medesimo fabbricato, i diritti e gli obblighi dei partecipanti vanno necessariamente determinati alla luce della disciplina dettata dall'art. 1102 cod. civ.: qualora il condomino abbia utilizzato i beni comuni nell'ambito dei poteri e dei limiti stabiliti dalla norma sopra richiamata, l'esercizio legittimo dei diritti spettanti al condomino iure proprietatis esclude che possano invocarsi le violazioni delle norme dettate in materia di distanze fra proprietà confinanti. E, se certamente è configurabile e meritevole di tutela anche nel condominio il diritto alla riservatezza, il pregiudizio in concreto risentito non può prescindere da un valutazione comparativa degli opposti interessi dei condomini, dovendo il diritto di ciascuno proprietario di godere e di utilizzare la proprietà esclusiva essere naturalmente limitato dalla necessaria contiguità degli appartamenti, che inevitabilmente comporta restrizioni delle facoltà di godimento che al proprietario spetterebbero, dovendo al riguardo ritenersi connaturate quelle limitazioni che siano l'effetto dell'esercizio legittimo dei poteri spettanti agli altri comproprietari. Pertanto, l'indagine che il giudice di merito deve compiere ha ad oggetto esclusivamente se l'uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dal citato art. 1102, dovendo al riguardo verificarsi se siano contemperate le opposte esigenze, ciò in attuazione di quel principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali e che richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione: una volta accertato che l'uso del bene comune sia conforme a tali parametri deve escludersi che sia conflgurabile una innovazione vietata. E, nella specie, tale valutazione è stata per l'appunto compiuta dal giudice di merito il quale ha in sostanza escluso il pregiudizio lamentato dalle condomine ricorrenti, avendo ritenuto che non era impedito il pari uso della cosa comune, tanto più che analoghi interventi erano stati già realizzati sulle finestre degli appartamenti siti al primo e al secondo piano e che l'opera da realizzarsi sarebbe stata eseguita nel rispetto delle distanze prescritte in materia di veduta, così implicitamente ritenendo attuato quel diritto alla riservatezza che il legislatore ha inteso assicurare stabilendo dei parametri obiettivi nel rispetto dei quali si devono ritenere soddisfatte le esigenze del vicino, e ciò tanto più nell'ambito del condominio degli edifici ove, come si è detto, occorre tenere conto del bilanciamento degli interessi in gioco".

    (Corte di Cassazione - SeziOne Seconda Civile, Sentenza 9 giugno 2010, n.13874)
    http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2555

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