Rassegna di normativa, dottrina, giurisprudenza

Ricerca in Foro di Napoli
  • Corte di Giustizia UE: limiti alla pubblicità sui motori di ricerca

    Dopo le sentenze del 23 marzo e del 25 marzo la Corte di Giustizia UE interviene ancora in materia di utilizzo di parole chiave nelle inserzioni sui motori di ricerca, ed in particolare dei diritti del titolare di segni distintivi di ridurre o impedire del tutto l'autonomia degli inserzionisti che intendono utilizzare segni distintivi simili a propri marchi registrati.

    La Corte ha innanzitutto ribadito il proprio orientamento, ricordando che "il titolare del marchio non può opporsi a tale uso del segno identico al suo marchio se esso non è idoneo a compromettere alcuna delle funzioni del marchio stesso. Fra tali funzioni del marchio rientrano non solo quella essenziale consistente nel garantire ai consumatori l’origine del prodotto o del servizio (in prosieguo: la «funzione di indicazione d’origine»), ma anche le altre sue funzioni, quali, segnatamente, quella di garantire la qualità del prodotto o del servizio in questione, o quelle di comunicazione, investimento o pubblicità. Quanto alla funzione di pubblicità, la Corte ha constatato che l’uso di un segno identico ad un marchio altrui nell’ambito di un servizio di posizionamento come «AdWords» non è idoneo a compromettere tale funzione del marchio (sentenze Google France e Google). Siffatta conclusione si impone anche nel caso di specie, dal momento che la causa principale verte sulla scelta di parole chiave e sulla visualizzazione di annunci nell’ambito del medesimo servizio di posizionamento «AdWords». Per quanto riguarda la funzione di indicazione d’origine, la Corte ha statuito che la questione se tale funzione subisca un pregiudizio allorché, a partire da una parola chiave identica ad un marchio, agli utenti di Internet viene mostrato l’annuncio di un terzo, dipende in particolare dal modo in cui tale annuncio è presentato. La funzione di indicazione d’origine del marchio risulta pregiudicata qualora l’annuncio non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo".

    Su questo punto, la Corte ha pertanto dichiarato che: "L’art. 5, n. 1, della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992, deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo".

    La Corte ha altresì dichiarato:

    2) L’art. 6 della direttiva 89/104, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992, deve essere interpretato nel senso che, quando l’uso, da parte di inserzionisti, di segni identici o simili a marchi come parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet sia suscettibile di divieto ai sensi dell’art. 5 della medesima direttiva, tali inserzionisti non possono, di regola, avvalersi della deroga stabilita dall’art. 6, n. 1, di questa direttiva per sottrarsi al divieto stesso. Spetta tuttavia al giudice nazionale verificare, alla luce delle circostanze proprie del caso di specie, se effettivamente non sussista alcun utilizzo dei segni in questione ai sensi del menzionato art. 6, n. 1, il quale possa ritenersi effettuato in conformità agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

    3) L’art. 7 della direttiva 89/104, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992, deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio non ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da un segno identico o simile a tale marchio, da lui scelto, senza il consenso del detto titolare, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per la rivendita di prodotti fabbricati dal citato titolare del marchio e immessi in commercio nello Spazio economico europeo da questi stesso o con il suo consenso, salvo che sussista un motivo legittimo, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della citata direttiva, idoneo a giustificare l’opposizione di tale titolare, come, ad esempio, un uso del segno in questione che induca a ritenere esistente un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare stesso oppure un uso che rechi un serio pregiudizio alla notorietà del marchio di cui trattasi.

    Il giudice nazionale, cui spetta valutare se sussista o no un motivo legittimo siffatto nella controversia sottoposta alla sua cognizione:

    – non può, sulla base del semplice fatto che un inserzionista utilizza un marchio altrui con l’aggiunta di termini, come «usato» o «d’occasione», indicanti che i prodotti in questione costituiscono l’oggetto di una rivendita, concludere che l’annuncio suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare del marchio o rechi un serio pregiudizio alla notorietà di tale marchio;

    – è tenuto a constatare l’esistenza di un motivo legittimo siffatto, qualora il rivenditore, senza il consenso del titolare del marchio che egli utilizza nell’ambito della pubblicità per le proprie attività di rivendita, abbia rimosso la menzione di tale marchio figurante sui prodotti fabbricati e immessi in commercio dal titolare stesso e l’abbia sostituita con un’etichetta recante il proprio nome, in modo da occultare il marchio in questione, e

    – è tenuto a dichiarare che non si può vietare ad un rivenditore specializzato nella vendita di prodotti d’occasione di un marchio altrui di utilizzare tale marchio per annunciare al pubblico attività di rivendita comprendenti, oltre alla vendita di prodotti d’occasione del marchio in questione, la vendita di altri prodotti d’occasione, a meno che la rivendita di questi altri prodotti non rischi, in ragione della sua ampiezza, delle sue modalità di presentazione o della sua scarsa qualità, di menomare gravemente l’immagine che il titolare è riuscito a creare intorno al proprio marchio.

    In merito al punto 3, secondo la Corte qualora l’annuncio sia "idoneo ad indurre almeno una parte significativa del pubblico interessato ad istituire un collegamento tra i prodotti o servizi oggetto dell’annuncio e quelli del titolare del marchio o dei soggetti autorizzati ad utilizzare il marchio stesso e, dall’altro lato, che, nel caso in cui il giudice nazionale constati che l’annuncio non consente o consente soltanto difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi oggetto dell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un terzo, è poco probabile che l’inserzionista possa seriamente affermare di non essere stato consapevole dell’ambiguità in tal modo creata dal suo annuncio. È infatti proprio l’inserzionista il soggetto che, nell’ambito della sua strategia promozionale e con piena conoscenza del settore economico in cui opera, ha scelto una parola chiave corrispondente ad un marchio altrui e che, da solo o con l’assistenza del fornitore del servizio di posizionamento, ha redatto l’annuncio e dunque deciso la presentazione del medesimo". In sostanza: "Alla luce di tali elementi, occorre concludere che .nel caso di specie l’inserzionista non può, in linea di principio, affermare di aver agito conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. Spetta tuttavia al giudice nazionale procedere ad una valutazione complessiva di tutte le circostanze pertinenti al fine di verificare l’eventuale sussistenza di elementi che giustifichino un’opposta conclusione".

    (Corte di Giustizia UE, Sentenza 8 luglio 2010: Marchi – Pubblicità su Internet a partire da parole chiave (“keyword advertising”) – Direttiva 89/104/CEE – Artt. 5‑7 – Visualizzazione di annunci a partire da una parola chiave identica a un marchio – Visualizzazione di annunci a partire da parole chiave che riproducono un marchio con “piccoli errori” – Pubblicità per prodotti d’occasione – Prodotti fabbricati e messi in commercio dal titolare del marchio – Esaurimento del diritto conferito dal marchio – Apposizione di etichette recanti il nome del rivenditore e rimozione di quelle contenenti il marchio – Pubblicità, a partire da un marchio altrui, per prodotti d’occasione comprendenti, oltre a prodotti fabbricati dal titolare del marchio, prodotti di altra provenienza)

    http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2590

0 comments:

Leave a Reply