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Sentenza Cassazione su distruzione dei dati/formattazione da parte del dipendente
Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 9 giugno - 21 luglio 2010, n. 17097
Presidente Vidiri - Relatore Bandini
Ricorrente Fxxxxxxxxxxxx srl
Svolgimento del processo
Aragione Natalia impugnò il licenziamento disciplinare irrogatogli dalla Fxxxxxxxxxxi srl siccome ritenuta responsabile di avere volontariamente cancellato dati aziendali di notevole importanza e riservatezza dal computer affidatole in via esclusiva.
Il Giudice di prime cure accolse l¹impugnazione e la Corte d¹Appello di Napoli, con sentenza del 20.11.2008 - 20.1.2009, rigettò l¹impugnazione proposta dalla parte datoriale, osservando, a sostegno del decisum, quanto segue:
- non erano emersi elementi concreti a dimostrare per quale ragione la lavoratrice, responsabile dell¹Assicurazione Qualità, avrebbe dovuto conservare in via esclusiva nel suo computer files che riguardavano l¹Ufficio Tecnico e che, comunque, erano contenuti, come qualunque ³lavorazione o documento², nel server centrale ed erano presenti, in forma cartacea, presso le committenti e nei cantieri;
- neppure era stato dimostrato che la lavoratrice avesse l¹uso esclusivo del suo personal computer, essendo anzi emerso, come peraltro evincibile già dalla contestazione, il contrario, vale a dire che chiunque avrebbe potuto usarlo;
- sulla base delle risultanze probatorie acquisite era risultato che: qualunque dipendente avrebbe potuto accedere al computer della Aragione; non c¹era alcun obbligo di salvare dati sul personal computer in dotazione; non era dato sapere se vi fossero stati conservati dei files prima dell¹episodio di cui alla contestazione né, eventualmente, quali;
- per conseguenza la lavoratrice, non avendo l¹obbligo di salvare i dati, non era tenuta al salvataggio nemmeno dei piani di sicurezza relativi ai cantieri di Bisceglie e di Caserta, conservati sicuramente nel server centrale (ma non rinvenuti) e su cartaceo;
- non c¹era nessuna prova, ³ma nemmeno alcun indizio², che potesse indurre a ritenere che la Aragione avesse eliminato volontariamente i files de quibus;
- per ulteriore conseguenza doveva ritenersi l¹irrilevanza della (non provata) formattazione del personal computer, poiché, per dire che l¹ipotetica formattazione aveva cancellato i dati, sarebbe stato necessario avere prima la certezza che ci fossero stati dati da cancellare e, in particolare, che vi fossero stati i piani di sicurezza ivi inutilmente ricercati;
- l¹eventuale estensione della contestazione relativa alla formattazione del computer anche alla cancellazione di altri files, nemmeno indicati, sarebbe stata di assoluta genericità, con conseguente lesione dei diritti di difesa della lavoratrice;
- poiché nessuno dei dipendenti, e nemmeno la Aragione, aveva l¹obbligo di salvare dati sul proprio personal computer, bensì di salvarli nel server centrale, la loro eventuale (e non provata) cancellazione non avrebbe concretizzato alcun comportamento disciplinarmente rilevante, perché non sarebbe stato trasgredito nessun obbligo, risultando anzi che quello sarebbe stato il comportamento da tenere (ossia, una volta lavorati, salvare i dati sul server e cancellarli dal singolo computer);
- nessuno aveva comunque visto la Aragione formattare il suo personal computer l¹11.9.2003, ultimo giorno di lavoro nel quale la società afferma sarebbe stata compiuta l¹operazione, che peraltro avrebbe richiesto il possesso di un compact disk di installazione e l¹interazione al computer per un congruo lasso di tempo (di forse anche due ore);
- l¹Aragione, laddove, come sostenuto dalla parte datoriale, avesse agito per danneggiare la Società, che le aveva imposto una trasferta ad Aosta, non avrebbe potuto raggiungere tale scopo, perché qualunque dato era conservato nel server;
- era privo di riscontro probatorio anche il rilievo della parte datoriale di non aver avuto più di quindici dipendenti;
- nessuna indicazione era stata fornita dalla parte datoriale per l¹aliunde perceptum. Avverso tale sentenza della Corte territoriale, la Flora Napoli srl ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi e illustrato con memoria. L¹intimata Aragione Natalia ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell¹art. 3 legge n. 604/66, nonché vizio di motivazione, osservando che, pur essendo stato il licenziamento intimato, oltre che per giusta causa, anche per giustificato motivo soggettivo, erroneamente la Corte territoriale non aveva verificato se i fatti contestati fossero tali da legittimare, quanto meno, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell¹art. 3 legge n. 604/66 in relazione all¹art. 2104 c.c., nonché vizio di motivazione, dolendosi che la Corte territoriale, peraltro trascurando quanto emerso da una pronuncia del GIP di Napoli resa in un procedimento penale collaterale alla vicenda per cui è causa, non abbia rilevato che il fatto principale era costituito dall¹avvenuta cancellazione dei dati aziendali dal personal computer della Aragione, ove la medesima operava in via esclusiva, con ciò rendendo insufficiente la motivazione su circostanze che legittimavano il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2119, 2735 e 2733 c.c., nonché vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale abbia trascurato di considerare che, dalla ridetta pronuncia del GIP di Napoli, emergeva la piena confessione, da parte della Aragione, che ella soltanto poteva accedere al personal computer e che ella soltanto, quindi, aveva potuto procedere alla formattazione dell¹hard disk, con azzeramento dei dati ivi contenuti, durante l¹orario di lavoro.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione dell¹art. 18 legge n. 300/700, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale, in ordine al numero di lavoratori impiegati, fatto riferimento a quello relativo al periodo del licenziamento, anziché al normale livello di occupazione dell¹impresa.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione dell¹art. 1227 c.c., nonché vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale, in relazione all¹eccezione di aliunde perceptum, omesso di accogliere la richiesta di opportuni accertamenti in ordine alla riscossione di eventuali indennità di disoccupazione e all¹occupazione della lavoratrice presso altri soggetti.
2. In via di priorità logica deve essere esaminato il terzo motivo di ricorso.
La doglianza non risulta anzitutto condivisibile laddove attribuisce alle dichiarazioni rese dalla Aragione nell¹ambito di un procedimento penale (per quanto risultanti dalla ricordata pronuncia del GIP di Napoli) il valore di piena prova, essendo di piana evidenza che le dichiarazioni (pretesamente) confessorie della lavoratrice non sono state rese nell¹ambito del presente giudizio, né alla controparte; le affermazioni in questione erano quindi liberamente apprezzabili dalla Corte territoriale, con conseguente applicabilità del consolidato principio secondo cui l¹esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull¹attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova, con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 13910/2001; 11933/2003; 1554/2004; 12362/2006; 27464/2006).
Inoltre l¹emergenza probatoria di cui viene lamentata l¹omessa considerazione non è neppure di rilievo decisivo, poiché, quand¹anche dalla medesima fosse effettivamente desumibile l¹utilizzo esclusivo del proprio personal computer da parte della Aragione, non resterebbe minimamente scalfita l¹affermazione, di natura assorbente, relativa alla mancata dimostrazione della pregressa presenza nel medesimo personal computer dei dati aziendali di cui è stata contestata l¹indebita cancellazione.
Il motivo all¹esame deve quindi essere disatteso.
3. Ciò comporta l¹assorbimento dei primi due motivi di ricorso, posto che l¹assenza di prova dei fatti contestati rende evidentemente vana qualsivoglia discettazione sulla loro astratta idoneità a legittimare il licenziamento disciplinare, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo che sia.
4. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, ai fini della sussistenza del requisito numerico, rilevante ai sensi degli artt. 18 e 35 dello Statuto dei Lavoratori per l¹applicabilità della tutela reale, il giudice deve accertare la normale produttività dell¹impresa (o della singola sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo) facendo riferimento agli elementi significativi al riguardo, quale ad esempio, la consistenza numerica del personale in un periodo di tempo, anteriore al licenziamento, congruo per durata e in relazione alla attività e alla natura dell¹impresa, e non anche a quello successivo (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 6421/2001; 12909/2003).
Correttamente, quindi, la Corte territoriale, con motivazione adeguata alle emergenze probatorie acquisite e scevra da vizi logici, ha ritenuto la sussistenza del requisito dimensionale sulla base delle dichiarazioni rese al riguardo dal fiduciario della Società con riferimento al numero dei dipendenti in forza nel periodo del licenziamento, nel mentre la ricorrente si duole, infondatamente, che non sia stato tenuto conto di alcune comunicazioni dell¹Ufficio Collocamento Disabili di data ampiamente successiva al recesso datoriale (quasi due anni e mezzo l¹una, quasi quattro l¹altra) dalle quali emergeva una forza lavoro inferiore a quindici unità, nonché delle risultanze del libro matricola (peraltro neppure trascritte in ricorso, in violazione del principio di autosufficienza del medesimo) riferite ai momento della decisione della causa.
5. Il quinto motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stato ivi trascritto l¹esatto tenore delle richieste istruttorie asseritamente non accolte, né i tempi e i modi con cui le stesse erano state introdotte in giudizio, e ciò fermo restando, peraltro, che i fatti su cui si fonda l¹eccezione di aliunde perceptum devono essere oggetto di tempestiva allegazione (cfr, ex plurimis, Cass., n. 17606/2007), laddove nella specie, secondo quanto accertato nella sentenza impugnata, nessuna indicazione al riguardo era stata fornita dalla parte datoriale.
6. In conclusione il ricorso va rigettato, con conseguente condanna alle spese, nella misura indicata in dispositivo, della parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 16,00, oltre ad euro 3.000,00 per onorari, spese generali, IVA e CPA come per legge.
http://www.legali.com/spip.php?article1425
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