Rassegna di normativa, dottrina, giurisprudenza

Ricerca in Foro di Napoli
  • Compensi legali, minimi tariffari e accordi in deroga

    È nullo l'accordo con il quale l'avvocato ed il cliente pattuiscono l'onorario spettante al professionista in deroga ai minimi tariffari. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza citata in epigrafe, depositata lo scorso 28 settembre e qui leggibile nei documenti correlati.
    Nell'anno 1994 uno studio legale associato stipula una convenzione con due Società per azioni per l'espletamento di attività stragiudiziale e giudiziale concernente il recupero dei crediti contenziosi vantati dalle società nei confronti di propri clienti inadempienti. Interrottosi il rapporto tra le società ed il legale, quest'ultimo ricorre al giudice del lavoro di Napoli lamentando di aver ricevuto, in base alla convenzione, compensi inferiori ai minimi tariffari, inderogabili.
    Al Tribunale di Napoli lo studio legale chiede che si dichiari la nullità ex articolo 24 della legge 13.6.1942, n. 794, modificata dalla legge 19.12.1949 n. 957, recepito dall'articolo 4 delle vigenti tariffe forensi, delle convenzioni intercorse tra le parti per la determinazione dei compensi forfettari relativi agli incarichi professionali espletati, chiedendo la condanna delle società al pagamento delle somme dovute. Il giudice napoletano accoglie in parte le richieste dello studio legale. Avverso la sentenza propongono appello lo studio legale e appello incidentale le società. I giudici di secondo grado accolgono in parte l'appello principale e rigettano quello incidentale. Tra le altre cose, la corte napoletana aveva osservato che l'accordo-convenzione, intervenuto tra le parti, doveva ritenersi nullo perché in violazione del divieto sancito dall'art. 24 l. n. 794 del 1942, essendo l'ammontare dei compensi, consensualmente predeterminato, inferiore ai minimi tariffari, e che non era applicabile la riduzione al di sotto dei minimi, consentita dall'art. 4 della stessa legge "quando la causa risulti di facile trattazione", solo nei confronti della parte soccombente e non anche nei confronti del cliente, mancando il parere del Consiglio dell'Ordine in tal senso.
    Nel ricorso per cassazione le due società sostengono, tra le altre cose, che erroneamente il giudice di appello avrebbe ritenuto la sopravvivenza dell'art. 24 della l. n. 794/1942, poiché l'abrogazione ad opera della disciplina dettata dell'articolo unico della legge n. 1051/57, ex art. 15 delle preleggi, avrebbe riguardato soltanto gli artt. da 1 a 23. Viceversa, detto articolo unico avrebbe delegificato il procedimento di approvazione delle tariffe, rendendo i regolamenti tariffari inidonei a derogare efficacemente all'art. 2233 c.c., fonte principale per la determinazione del compenso spettante ai liberi professionisti. Ma, anche a voler ritenere, sotto l'indicato profilo, ancora vigente l'art. 24 citato, il confronto dell'assetto normativo nazionale con il quadro europeo avrebbe dovuto condurre alla conclusione di incompatibilità del divieto con il Trattato, dato che la liceità di una tariffa non comporterebbe di per sé la liceità della ben diversa disposizione che fissi l'inderogabilità della sua misura minima.
    Preliminarmente il collegio romano osserva che, con riferimento alla professione di avvocato, la Corte di Cassazione, con orientamento pressoché costante, ha ritenuto, ora esplicitamente, ora per implicito, che la legge n. 794 del 1942, se pur deve ritenersi abrogata nei suoi artt. da 1 a 23, ai sensi del citato articolo 15, - essendo stata la materia interamente regolamentata per effetto della legge 3 agosto 1957, n. 1051, che ha attribuito al Consiglio nazionale forense la competenza di stabilire, con le modalità ivi previste, i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti per le prestazioni giudiziali in materia civile - ha lasciato in vita l'art. 24. Tale articolo - è sottolineato nella sentenza romana - dopo la significativa dicitura, "Inderogabilità convenzionali degli onorari e dei diritti", statuisce che "Gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili".
    Sulla base di tale disposizione - affermano gli ermellini - la giurisprudenza di legittimità ha sancito la nullità dell'accordo con il quale l'avvocato ed il cliente pattuiscono l'onorario spettante al professionista in deroga ai minimi della tariffa forense. In tal modo si è inteso superare la gerarchia di carattere preferenziale, fissata dall'art. 2233 c.c., tra i vari criteri previsti per la determinazione del compenso dovuto per le attività intellettuali, laddove si stabilisce che "il compenso, che non è convenuto tra le parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice". La vigenza nel nostro ordinamento di una normativa che vieti di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense trova, del resto, riscontro nelle pronunce della Corte di giustizia, che, in tema di tariffe professionali degli avvocati, ha affermato, che la normativa del trattato CEE non osta all'adozione, da parte di uno Stato membro, di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell'ordine, qualora tale misura statale sia dettata nell'ambito di un procedimento come quello previsto dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, come modificato. La conformità al principio comunitario della libera concorrenza di quelle norme del diritto interno, in virtù delle quali è imposta l'inderogabilità dei minimi di tariffa forense, costituisce orientamento confermato nell'anno 2006 da una sentenza della Corte di giustizia, con la quale si è stabilito che una limitazione al principio di libera prestazione dei servizi professionali può essere consentita allorché "ragioni imperative di interesse pubblico" la giustifichino; ragioni che con riferimento all'inderogabilità dei minimi della tariffa degli avvocati vengono individuate nell'esigenza di garantire la qualità della prestazione professionale a tutela degli utenti consumatori e la buona amministrazione della giustizia. Sussistendo questi obiettivi, l'obbligatorietà dei minimi può essere giustificata, dunque, allorché sussista il rischio che, per le caratteristiche del mercato, la concorrenza al ribasso sull'offerta economica tra gli operatori possa pregiudicare la qualità della prestazione. A proposito dei servizi legali, la Corte individua come fattore di rischio il "numero estremamente elevato" di professionisti iscritti ed in attività e riconosce al giudice nazionale il compito di determinare se la restrizione della libera prestazione creata dal divieto di derogare convenzionalmente ai minimi tariffari per i servizi legali, previsto dalla legislazione italiana, risponde a ragioni imperative di interesse pubblico ed e strettamente idoneo a garantire da un lato che vi sia corrispondenza tra il livello degli onorari e la qualità delle prestazioni fornite dagli avvocati, dall'altro che la determinazione di tali onorari minimi costituisca un provvedimento adeguato alla tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia.
    Pur non essendo una garanzia della qualità dei servizi - osserva il Supremo Collegio -, non si può di certo escludere - ed anzi deve affermarsi - che nel contesto italiano, caratterizzato da un'elevata presenza di avvocati, le tariffe che fissano onorari minimi consentano di evitare una concorrenza che si traduce nell'offerta di prestazioni "al ribasso", tali da poter determinare un peggioramento della qualità del servizio.
    Nella sentenza romana, tuttavia, si evidenzia che l'art. 2, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali "dalla data di entrata in vigore" della legge stessa; ne consegue che quelle disposizioni conservano piena efficacia in relazione a fatti - come quelli in oggetto - verificatisi prima. Tra i motivi del ricorso per cassazione è stato anche evidenziato che il Giudice d'appello ha ritenuto l'invalidità della rinuncia ai minimi tariffari operata dalla parte ricorrente, a fronte di una continuità di incarichi da parte delle società. Sul punto gli ermellini osservano che il principio dell'inderogabilità dei minimi tariffari sugli onorari di avvocato e procuratore non trova applicazione nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, quando quest'ultima non risulti posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa sui minimi di tariffa. La prestazione d'opera del difensore può, infatti, pure essere gratuita - in tutto o in parte - per ragioni varie, oltre che di amicizia e parentela, anche di semplice convenienza. Sotto questo riflesso la retribuzione costituisce un diritto patrimoniale disponibile e la convenienza relativa può concretarsi, sul piano sostanziale, anche in un accordo transattivo, in quanto tale, pienamente lecito, rientrando esso nella libera autonomia dispositiva delle parti contraenti, alle quali è soltanto inibito di infrangere il divieto legale sancito dal citato art. 24, e cioè quello di predeterminare consensualmente l'ammontare dei compensi professionali in misura inferiore ai minimi tariffari.
    Orbene - è detto infine nelle motivazioni della sentenza romana - la Corte partenopea ha osservato che per potersi ritenere intervenuta una rinuncia occorreva, pur sempre, che vi fosse piena consapevolezza da parte del rinunciante dello specifico oggetto della rinuncia medesima, "condizione questa che, nel caso di specie, non può certamente essere ravvisabile nelle lettere dell'avv.to con le quali lo stesso si limitava a dare atto della definizione della pratica in base al forfait illegittimamente concordato". Per la corte partenopea, quindi, nel caso specifico la rinuncia al principio di inderogabilità delle tariffe non aveva fondamento mancando la necessaria consapevolezza del rinunciante.

    http://www.giuffre.it/servlet/page?_pageid=54&_dad=portal30&_schema=PORTAL30&p_id_news=27952&NEWS.p_tipo=5&NEWS.p_livello=D&p_data=20101009

0 comments:

Leave a Reply