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  • Corte costituzionale: per la sospensione d'impresa necessaria la motivazione

    Gli ispettori del lavoro (in materia di lavoro irregolare e di sicurezza sul lavoro) e i funzionari ispettivi delle Asl (per la sicurezza sul lavoro) devono adottare il provvedimento di sospensione con apposita motivazione in fatto e in diritto.

    Con sentenza n. 310 del 5 novembre 2010 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (cd. Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, “TUSIC”), come sostituito dall’articolo 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, nella parte in cui, stabilendo che ai provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, esclude l’applicazione ai medesimi provvedimenti dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 241/1990.

    Anzitutto va subito chiarito l’impatto della sentenza del Giudice delle leggi su quello che rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei poteri maggiormente incisivi e più dirompenti che l’ordinamento giuridico affida al personale ispettivo in materia di lavoro, vale a dire quello di sospendere l’attività imprenditoriale, con apposito provvedimento.

    Anche dopo la pronuncia della Consulta, infatti, il provvedimento di sospensione dell’impresa permane un provvedimento di tipo interdittivo, a carattere discrezionale, di natura sanzionatoria e con finalità cautelare, seppure torni ad essergli, sia pure parzialmente, attribuita una valenza anche di tipo procedimentale amministrativo.

    Decidendo, infatti, il giudizio di costituzionalità promosso dal TAR Liguria (ordinanza n. 204 del 13 maggio 2009), nel procedimento di impugnazione di un provvedimento di sospensione adottato da ispettori della Direzione provinciale del lavoro di Genova nella primavera del 2008 nei confronti di una ditta individuale per la produzione e il recapito di pizze da asporto, per la presenza al lavoro di due fattorini addetti al recapito delle pizze non risultanti da documentazione obbligatoria. Nel caso di specie il TAR Liguria censura la circostanza della adozione del provvedimento di sospensione pure a fronte della esibizione agli ispettori del lavoro di copia dei contratti di collaborazione autonoma e occasionale conclusi con i fattorini, circostanza peraltro acclarata dagli accertatori nel verbale di accesso ispettivo. La sospensione, dunque, secondo la tesi del giudice remittente sarebbe stata adottata “in totale assenza di motivazione, benché questa fosse necessaria avuto riguardo al carattere discrezionale del provvedimento ed alla volontà manifestata dalle parti in ordine all’inesistenza del vincolo di subordinazione”.

    Su questo fondamento il TAR ligure propone il giudizio di costituzionalità dell’art. 14, comma 1, del TUSIC, sottolineando che “l’obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi” costituisce un principio generale, declinazione operativa dei canoni di imparzialità e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), recepito come principio del patrimonio costituzionale comune in ambito comunitario (art. 296, comma 2, del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione Europea, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008, n. 130). Nell’intervenire in giudizio l’Avvocatura dello Stato evidenzia le finalità di contrasto al lavoro irregolare e di tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro e la natura di misura cautelare del provvedimento di sospensione, i cui presupposti sono “certificati nel verbale redatto dagli ispettori del lavoro”; aggiunge poi la difesa dello Stato che le “esigenze di celerità e di non aggravamento del procedimento, con prevalenza dell’interesse pubblico primario”, non impediscono una interpretazione costituzionalmente orientata della norma che fa salvo, in ogni caso, “l’obbligo di motivazione del provvedimento”, imposto direttamente dalle norme costituzionali, a garanzia del diritto di difesa del privato (artt. 24, 97 e 113 Cost.).

    La Consulta individua la censura della norma nella parte in cui esclude l’applicazione dell’art. 3, comma 1, della legge n. 241/1990, che fissando l’obbligo di motivazione con indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche “che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, viene inteso quale principio generale, “diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell’azione amministrativa”. Anche la Corte riconosce il radicamento dell’obbligo di motivazione negli artt. 97 e 113 Cost., come già evidenziato dalla difesa dello Stato, ma, ciononostante, anziché concludere – come ci si sarebbe aspettato – per una sentenza interpretativa di rigetto che confermasse l’obbligo di motivazione del provvedimento di sospensione, decide per una sentenza di accoglimento e di parziale incostituzionalità della norma. In primo luogo la Consulta sottolinea che la norma vanifica “l’esigenza di conoscibilità dell’azione amministrativa (…) che si realizza proprio attraverso la motivazione, in quanto strumento volto ad esternare le ragioni e il procedimento logico seguiti dall’autorità amministrativa”, peraltro con riferimento a un provvedimento, la sospensione, “non soltanto a carattere discrezionale”, ma anche dotato “di indubbia lesività per le situazioni giuridiche del soggetto che ne è destinatario”. In secondo luogo la pronuncia annotata segnala che “la giusta e doverosa finalità di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare, non è in alcun modo compromessa dall’esigenza che l’amministrazione procedente dia conto, con apposita motivazione, dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che ne hanno determinato la decisione, con riferimento alle risultanze dell’istruttoria”, con ciò evidentemente mostrando di non fare propria la differenza fra un provvedimento amministrativo ordinario, adottato al termine di una istruttoria più o meno complessa, e un provvedimento cautelare, come la sospensione appunto, che, per aver senso ed effettività, deve essere adottato dopo un accertamento contraddistinto da brevità e immediatezza.

    Peraltro, la decisione si limita a dichiarare la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del TUSIC, nella parte in cui “esclude l’applicazione (…) dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990”. Da ciò deriva che la sentenza n. 310/2010 della Corte costituzionale non comporta l’integrale applicazione della legge n. 241/1990 al provvedimento di sospensione, pertanto non potrà riproporsi la vicenda che formò oggetto di tre pronunce del TAR Veneto – 24 ottobre 2007 n. 3614, 30 novembre 2007, n. 3909 e 15 maggio 2008, n. 1391 – intervenute sulla applicabilità dei principi e delle norme di tutela del cittadino nei confronti delle azioni della PA di cui alla legge n. 241/1990, con particolare riferimento all’art. 7 (relativo all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento) e all’art. 10 (relativo all’obbligo di valutare le osservazioni prodotte dall’interessato), rispetto ai quali il legislatore del 2008 (prima) e quello del 2009 (poi) decisero di inserire la previsione di esonero dalla applicabilità totale della legge n. 241/1990. Resta fermo, peraltro, dopo la sentenza n. 310/2010 della Corte costituzionale l’obbligo per gli ispettori del lavoro (in materia di lavoro irregolare e di sicurezza sul lavoro) e per i funzionari ispettivi delle Asl (per la sicurezza sul lavoro) di adottare il provvedimento di sospensione con apposita motivazione in fatto e in diritto.

    Chiaramente detta motivazione dovrà essere sintetica e non esigerà quel carattere di dettaglio che potrà pretendersi soltanto a seguito del verbale conclusivo degli accertamenti, posto che la motivazione obbligatoria del provvedimento non può essere confusa con i motivi che ne legittimano l’adozione e deve concretizzarsi nella attuazione della sua funzione giuridica che è di consentire un controllo di correttezza, di coerenza e di logicità del decisum contenuto nel provvedimento. Infine, si tenga presente che, proprio per effetto delle ragioni giustificative della sentenza n. 310/2010 della Corte costituzionale, i provvedimenti di sospensione andranno valutati ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990 (inserito dall’art. 14, comma 1, legge 11 febbraio 2005, n. 15), secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Pertanto, anche qualora la motivazione fosse ritenuta comunque insufficiente, ma il provvedimento sarebbe stato oggettivamente quello concretamente da adottarsi, non sarà possibile annullarlo.
    (Sentenza Corte Costituzionale 05/11/2010, n. 310)

    http://www.ipsoa.it/PrimoPiano/Lavoro/per_la_sospensione_d_impresa_necessaria_la_motivazione_id1010967_art.aspx

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