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Il tribunale dribbla i giudici superiori
I giudici di merito non sono vincolati dalle valutazioni formulate dalle giurisdizioni superiori, se le considerano non conformi al diritto Ue. È il principio affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, nella sentenza depositata il 5 ottobre (causa C-173/09), che non solo ha limitato l'autonomia processuale degli stati nei casi in cui sia in gioco la corretta applicazione del diritto Ue, ma ha anche ampliato le possibilità per i malati di andare all'estero per curarsi e ottenere il rimborso nel proprio stato anche senza un'autorizzazione preventiva.
Sono stati i giudici amministrativi bulgari a invocare Lussemburgo: un paziente aveva chiesto al suo servizio sanitario un'autorizzazione per andare in Germania, ma la richiesta era stata respinta perché il trattamento non era incluso in modo espresso nell'elenco delle terapie praticate in Bulgaria. I giudici, però, avevano dato ragione al malato, ma la Cassa nazionale bulgara di assicurazione malattia si era rivolta alla Corte suprema amministrativa che aveva annullato le pronunce dei giudici di merito, sostenendo che il rimborso andava negato perché riguardava trattamenti non previsti in Bulgaria. I giudici ai quali era stata rinviata la questione hanno avuto dubbi sull'interpretazione del diritto Ue fornita dalla Suprema corte e invece di seguirne le indicazioni hanno chiesto l'intervento della Corte di giustizia.
Prima di tutto, hanno chiarito i giudici Ue, anche se il diritto processuale interno impone a tribunali di grado inferiore di seguire le indicazioni degli organi supremi, i giudici nazionali devono discostarsi dalle valutazioni di diritto se non le giudicano conformi al diritto Ue. Se, in aggiunta, i tribunali interni hanno dubbi sull'interpretazione del diritto Ue possono sospendere il procedimento nazionale e rivolgersi agli eurogiudici, anche se la Corte suprema non lo aveva ritenuto necessario, risolvendo la questione interpretativa. Questo vuol dire che i giudici di grado inferiore sono liberi di sottoporre un quesito alla Corte Ue se ritengono che «la valutazione in diritto formulata dall'istanza superiore possa condurli ad emettere un giudizio contrario al diritto dell'Unione», anche se ciò comporta la disapplicazione di norme processuali interne.
Risolto questo nodo, la Corte è passata a esaminare i diritti riconosciuti ai pazienti nell'Unione europea. È vero – osservano gli eurogiudici – che gli Stati membri hanno il diritto di organizzare i propri sistemi previdenziali e stabilire le modalità per i rimborsi, ma a patto di non intaccare le norme Ue sulla libera prestazione dei servizi. Va bene, quindi, prevedere che per ottenere un trattamento all'estero c'è bisogno di un'autorizzazione preventiva, ma senza arrivare al punto di negare ogni rimborso in assenza del provvedimento. Per la Corte, quindi, è da bocciare un sistema che nega in modo automatico il rimborso per la mancanza di autorizzazione, senza tener conto di esigenze specifiche come lo stato di salute del paziente che ha bisogno di cure urgenti. Né, per la Corte, è compatibile con il diritto Ue il diniego sul presupposto che la prestazione ottenuta all'estero non è identica a quelle incluse nell'elenco delle terapie rimborsabili sul piano nazionale se, un esame caso per caso, accerta che vi è corrispondenza nel trattamento. In questi casi, se è dimostrato lo stesso grado di efficacia e l'incapacità dello Stato di origine a fornire le cure in tempo utile, il rimborso deve essere garantito.
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-11-15/tribunale-dribbla-giudici-superiori-064137.shtml?uuid=AYgWNojC
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