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E' legittimo spiare un dipendente mediante l'utilizzo di agenzie investigative
(Cassazione civile, Sentenza 18 novembre 2010, n. 23303)
Con il primo motivo di ricorso C.G., denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 444 e 445 c.p.p. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), censura l’impugnata sentenza per non aver tenuto conto della circostanza che per i fatti contestatigli era stata emessa sentenza penale di condanna n. 950/02 (passata in giudicato), nei confronti del proprio fratello G. F., non avendo “attribuito alcuna valenza istruttoria” alla suddetta sentenza e non avendo, comunque, “chiarito l’iter logico- giuridico in base al quale avrebbe ritenuto di superare questi specifici rilievi adeguatamente evidenziati” in sede di appello.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta che la Corte d’appello di Messina avrebbe rigettato le formulate domande, violando “il principio di ripartizione dell’onere della prova” e “sul presupposto che lo stesso non sarebbe riuscito a fornire la prova di non aver commesso i fatti contestati”, mentre “dalle deposizioni in atti non sarebbe emersa la prova certa in ordine allo svolgimento dei fatti contestati”.
Con il terzo motivo di ricorso, il C. lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 2 per essersi il datore di lavoro avvalso dell’opera di un’agenzia investigativa, ponendo i relativi accertamenti a base dell’intimato licenziamento.
Con il quarto motivo, il ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. E L. n. 604 del 1966, art. 3 nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), censura l’impugnata sentenza per aver ritenuto proporzionata la sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa, nonostante la ridottissima entità del danno arrecato all’azienda.
Con il quinto motivo, infine, il ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) sostiene che erroneamente la Corte di Appello di Messina abbia ritenuto destituita di fondamento l’eccezione di inefficacia del licenziamento, assumendo che i motivi posti a base del provvedimento espulsivo erano contenuti nella lettera di contestazione.
Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è privo di fondamento, avendo il Giudice di appello dato corretto riscontro alle censure mosse alla sentenza di primo grado e reiterate per buona parte in questa sede.
Invero, il Giudice a quo, a sostegno della decisione adottata ha osservato che dalle prove testimoniale e documentali in atti era emerso che: il C. prelevò almeno uno scontrino abbandonato nei pressi della cassa (il n. 81) – restando del tutto irrilevante la questione – pur sollevata in appello – se gli scontrini fossero uno o più, se gli stessi fossero stati o meno fotocopiati e, nel caso affermativo, da chi, posto che gli addebiti mossi al dipendente riguardavano il recupero finalizzato al successivo utilizzo dello scontrino n. 81 e il successivo prelevamento della merce corrispondente a quella segnata nello scontrino; il C. venne trovato in possesso della merce corrispondente a quella segnata nello scontrino...
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