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  • Equitalia, è rivolta

    Milioni di italiani ricevono richieste di soldi assurde, spesso per multe e bollette già pagate o non dovute. Un Moloch di Stato che non ascolta ragioni e ti pignora la casa per pochi euro. Ma ora c'è chi dice basta
    Un grande falò di cartelle esattoriali sotto la Mole Antonelliana. Parte da Torino la rivolta fiscale contro Equitalia. Sono pronti a migliaia per la prima class action, proprio come nei film americani, che porterà davanti al giudice quello che definiscono il nuovo sceriffo di Nottingham: il fisco impazzito. Non difendono certo gli evasori e le frodi. Anzi, denunciano i metodi della società pubblica che riscuote tasse, contributi Inps, Iva, multe e canone Rai per conto dello Stato. Nel 2006 fu armata dal governo per scucire il dovuto ai più incalliti nemici del fisco, ma sta diventando l'incubo di un'altra categoria: artigiani senza più commesse, commercianti oberati di debiti, famiglie monoreddito stremate dai conti di casa. Secondo i dati diffusi per la prima volta, i 18 milioni di cartelle inviate solo nell'ultimo anno e i 40 milioni fra solleciti, notifiche e avvisi di pagamento colpiscono con la stessa rudezza furbi e imbroglioni, ma pure cittadini con colpe veniali e magari pronti a pagare. Gente che si vede trattare dagli sceriffi di Equitalia come ricercati. E che sfinita si sta ribellando.


    Voi evasori, noi poveracci

    Il consigliere regionale Alberto Goffi è una specie di Robin Hood che viaggia per Torino su una jeep verde con il numero di cellulare sulla fiancata. È lui che ha chiamato a raccolta questo popolo e ha ingaggiato un duello inedito fra due soggetti pubblici: il locale ufficio di Equitalia Nomos e l'Osservatorio messo in piedi dalla Regione Piemonte, che gli fa le pulci. Un duello che potrebbe allargarsi a macchia d'olio in tutto il Paese. E così in mezzo a chi le tasse non le paga davvero, nasconde capitali all'estero, distrugge le multe e con le bollette riempie i cuscini, c'è sempre più gente come Anna: dopo la crisi della Fiat per mandare avanti l'azienda che faceva componenti per auto ha congelato i versamenti Inps. Aveva un debito da 300 mila euro, che nel frattempo è salito a più di un milione. E non si ferma. La rata da 37 mila euro al mese non la reggeva. Così, adesso che gli ordini sono tornati a salire e avrebbe lavoro per un decennio, sta licenziando e chiuderà baracca: "L'interesse annuale è più alto del debito, così io pago ma non finisco mai. Mi hanno portato via tutto, mobili, macchinari, auto e casa. Mi resta l'orologio che mi regalò mio marito e ho paura che me lo sfilino dal polso. Secondo lei, se volevo evadere mi intestavo tutto?". C'è Francesco, 46 anni, licenziato, bimba a carico. S'è visto ipotecare il mini-appartamento per non aver pagato il canone Rai. C'è Giorgio, 39 anni, cassintegrato: "Il mutuo mi mangia tutto e quelle vecchie multe di quattro anni fa si sono trasformate in un incubo: il debito è triplicato, paghiamo ogni mese e non scende mai". E c'è Giovanni, 60 anni, che fornisce macchinari alle carceri. Stavolta è lo Stato che ha smesso di pagarlo e così lui non ha potuto versare i contributi Inps per i tre dipendenti. Solo che adesso quello stesso Stato è pronto a mettergli all'asta la casa.


    Nell'ottobre 2009 Equitalia mandò un preavviso di ganasce fiscali addirittura al Radio Soccorso di Torino, che trasporta i malati di cancro. Il tutto per un debito di 3.058 euro su una vecchia tassa rifiuti. "Una cosa è la caccia ai delinquenti, che ogni anno nascondono allo Stato 120 miliardi di tasse e vanno presi. Altra cosa è infierire su questi poveracci per fare cassa", dice Goffi.


    Ecco il punto. Da un anno l'Agenzia delle Entrate ha diminuito le "commesse" per Equitalia: meno riscossioni con la forza, più disponibilità a trattare con i presunti evasori per ottenere in via bonaria e in tempi più rapidi il dovuto.


    In questo modo l'Agenzia incassa direttamente oltre il 67 per cento dei crediti, lasciando alla società di riscossione circa un caso su tre. E così Equitalia si concentra sempre di più su multe, canoni, Tarsu e ritardi di pagamento o sui piccoli imprenditori soffocati dalla recessione.

    Applicando le stesse ipoteche e pignoramenti previsti per chi evade, anche per poche centinaia di euro. L'effetto pratico è bizzarro: l'evasore consapevole, mimetizzato dietro off shore e conti esteri, senza case da sequestrare né auto da bloccare, se la cava spesso con un concordato. Mentre il cittadino che ogni anno compila il modello Unico, ma non ha i quattrini per saldare, si vede spogliato di tutto.


    Emblematico il fenomeno della case ipotecate spesso per pochi spiccioli. A "L'espresso" Equitalia ha fornito un primo quadro nazionale. Si parla di oltre 616 mila ipoteche iscritte dal 2007 a oggi. E sarebbero già tante. Eppure Federcontribuenti ripete che il dato non è attendibile e che in Italia le ipoteche sarebbero già oltre un milione e mezzo. "Basta leggere i dati della Provincia di Torino trasmessi alla Regione qualche mese fa. Oggi in un territorio di 2 milioni di abitanti ci sono almeno 39 mila ipoteche attive. Impensabile che in Italia siano poco più di 600 mila, soprattutto se si considera che nelle grandi città come Roma e Napoli il fenomeno è storicamente più diffuso", spiega Goffi.


    A dimostrare che i provvedimenti non scattano solo nei confronti degli evasori veri, c'è il boom di ricorsi da Roma a Milano. Centinaia di persone si sono trovate l'ipoteca per debiti inferiori ai mille euro, magari per vecchie multe. A chi s'è presentato allo sportello di Equitalia la risposta è stata sempre la stessa: "Noi applichiamo la legge". Lo ripetono tutti. Dal responsabile comunicazione dell'Equitalia, al direttore generale. Peccato che la Cassazione l'abbia smentito, dichiarando illegittima l'ipoteca della casa per meno di 8 mila euro. Equitalia ha preso atto e ha subito promesso di cancellare senza oneri per il contribuente le ipoteche irregolari iscritte dal 2007. Eppure finora non è accaduto nemmeno questo, in un rimpallo su chi debba sborsare i quattrini necessari. C'è pure il caso di chi, come Gianni di Milano, artigiano nel settore del mobile, s'è visto mettere all'asta la sua quota di casa che divideva con la moglie. Il 50 per cento è finito in mano a un estraneo che, pochi giorni dopo, ha cominciato a presentarsi a casa a tutte le ore: "Mi diceva questo: o ti ricompri da me la tua quota al doppio del prezzo o vi rendo la vita impossibile. Per me è cominciato un incubo". "Questi sono problemi che stanno emergendo e su cui è necessaria un riflessione sia a livello politico, sia di sistema", ammettono ai piani alti dell'Agenzia delle Entrate.


    Che vi sia un abuso lo conferma l'avvocato Carmelo Calderone. Siede in quasi tutte le commissioni tributarie d'Italia, da Trieste a Messina, e da tempo denuncia le storture del sistema: "La vessazione è evidente. Nell'ultimo triennio Equitalia nel Lazio ha attuato l'ipoteca al 69 per cento dei proprietari raggiunti da una cartella. È così che la bandiera della presunta lotta all'evasione sventola fiera sui tetti degli immobili ormai diventati di Equitalia".


    La piovra di Stato

    Il fatto è che per sopravvivere la piovra Equitalia deve fare budget. E per riuscirci non guarda in faccia nessuno. Al Capone e la vecchietta con 500 euro di pensione che non è riuscita a pagare la tassa immondizie per loro sono la stessa cosa. "Lo dice la legge", ripetono ai call center. È vero, è una società pubblica (51 per cento di proprietà della Agenzia delle entrate, 49 dell'Inps). Un baraccone all'italiana con 8 mila dipendenti, come un ministero, che ha raccolto i rami secchi del vecchio sistema di riscossione privato abrogato nel 2005 dal ministro Vincenzo Visco. Per mandarlo avanti l'unico introito sono proprio le cartelle esattoriali. Su ogni debito contestato, alla società spetta il cosiddetto aggio, ovvero un interesse del 9 per cento. Una specie di gabella che si calcola sull'importo già maggiorato dalle sanzioni e non sul debito reale che il cittadino ha contratto. Significa che più cartelle spediscono, più notifiche mandano, più avvisi recapitano e più incassi fanno.


    Di gente tartassata così ce n'è a migliaia. E l'incubo che grava sul Paese ha i numeri di una catastrofe finanziaria. Basta guardare una cartella esattoriale per capire che il sistema è destinato a esplodere, col debito che aumenta anche di quattro o cinque volte. In un caso documentato, un piano di ammortamento datato 18 dicembre 2009 partiva da circa 350 mila euro. Contributi in ritardo perché l'impresa doveva scegliere fra licenziare a Natale metà dei dipendenti o sospendere l'Inps in attesa di tempi migliori. L'hanno fatto decine di migliaia di aziende del Nord. Per Equitalia è evasione fiscale. Così ha fatto i conti e l'importo iscritto a ruolo è salito a oltre 544 mila euro, poi a 726 mila con gli interessi di mora. In più, su ognuna di quelle cartelle, la società si porta a casa il famoso 9 per cento: 25 mila euro calcolati sull'importo iscritto a ruolo, cioè già gonfiato. A questo punto l'imprenditore accetta di rateizzare e il calcolo riserva l'ultima amara sorpresa: il debito sale a 828 mila euro.


    La protesta si allarga

    E così la rivolta torinese è ormai una rivoluzione nazionale. Dal Veneto alla Lombardia, dalla Toscana alla Puglia, le storie sono tutte simili e drammatiche. Un circolo vizioso, secondo il presidente dell'Api torinese Fabrizio Cellino, il primo industriale italiano a schierarsi apertamente contro Equitalia. "Nelle regioni produttive del Nord oggi pesa perfino più della crisi economica: se un artigiano o un commerciante è in difficoltà, magari perché proprio lo Stato ritarda i pagamenti, Equitalia pignora e segnala la posizione alla centrale rischi. Il debito aumenta e molti chiudono. O finiscono nelle mani degli usurai. Mentre lo Stato non paga mai", spiega. La loro proposta al ministro Giulio Tremonti è una moratoria che consenta ai vessati di uscire dal gorgo dei debiti, per ripartire con la caccia all'evasione quando le regole saranno più eque.


    Che il problema esiste, l'Agenzia delle Entrate lo sa. Tanto che ha varato il cosiddetto "bon ton" del fisco. Il gran capo Attilio Befera, che è anche presidente di Equitalia, è dovuto ricorrere a una severa lettera di richiamo per riportare a modi più civili il comportamento dei suoi segugi. Non che gli evasori meritino il guanto di velluto, ma la mossa indica il bisogno di cambiare il clima tra erario e contribuenti, soprattutto in vista della nuova battuta di caccia che si aprirà a breve: tra il 2011 e il 2013 all'Agenzia tocca di scovare 20 miliardi di euro che oggi le sfuggono e riportarli a casa. E se per l'Agenzia il sistema funziona meglio non si può dire che Befera abbia ottenuto grossi risultati con Equitalia, anch'essa con un obiettivo ambizioso: aumentare le riscossioni di un miliardo entro il 2012 (oggi è a quota 8).


    Mentre da un lato il mastino di Giulio Tremonti sul fronte del fisco si preoccupa di bon ton, dall'altro si rafforzano i poteri del braccio operativo di Equitalia. Già superiori a quelli della stessa Guardia di finanza. Arrivano, notificano, pignorano, sequestrano, ipotecano, bloccano i conti senza nemmeno la necessità di un giudice che firmi. Ma non è finita. Dal prossimo anno la società avrà anche un'altra arma: quella di agire direttamente sul contribuente infedele con indagini finanziarie che fino a oggi erano riservate all'Agenzia e relegate alla procedura penale, e rispetto alle quali il contribuente godeva di garanzie e tutele. Da domani, gli esattori potranno eseguirle in via amministrativa e guardare così nei conti correnti e negli investimenti di chiunque.


    Due anni fa è nato pure il Fondo giustizia, che incamera tutti i denari bloccati da un provvedimento giudiziario e finora depositati nelle banche. Si tratta di 1,7 miliardi, che Equitalia dovrà investire come fosse un gestore finanziario (incassando un aggio del 5 per cento sull'utile). Sempre per il ministero retto da Angelino Alfano, la Spa guidata da Befera dovrà recuperare i crediti delle spese processuali e le sanzioni pecuniarie maturate alla fine di un processo.

    Fra i pezzi grossi di Equitalia vige la regola del silenzio. A Torino l'amministratore delegato Nicola De Chiara non riceve giornalisti. Al centralino puoi chiamare decine di volte, che tanto nessuno ti passa nessuno. L'unico modo per parlarci e andarci di persona. Ma niente contatto diretto. "Parlate con Roma", rimbalza la segreteria.


    Eppure, fuori microfono, qualcuno che ammette gli errori c'è. Una mail riservata, partita dagli uffici milanesi, invita a osservare una coincidenza quanto meno bizzarra: mentre Equitalia continuava ad accumulare ipoteche sulle case nei mesi dello scudo fiscale, buona parte dei capitali che rientravano dai conti dei veri evasori all'estero (pagando solo il 5 per cento del dovuto) è finita proprio sul mercato immobiliare. Vale a dire che, oltre a portarsi in Italia milioni di euro con meno di un ventesimo di quello che versano i contribuenti trasparenti, quei soldi sono spesso serviti ad accaparrarsi, sottocosto, ville e appartamenti messi all'asta da Equitalia. Un trend che al quartier generale dell'Agenzia delle entrate a Roma osservano a distanza: "C'è anche un aspetto positivo: quegli evasori rientrati dovranno pagare le imposte e noi ora sappiamo dove sono. E possiamo controllarli". Peccato solo che molte di quelle case le ha perse gente che i redditi li aveva almeno dichiarati.

    http://espresso.repubblica.it/dettaglio/equitalia-e-rivolta/2139305//0

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