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Separazione: il giudice che assegna la casa deve tutelare l'interesse morale dei figli
Quando il giudice della separazione assegna la casa coniugale, deve guardare prima all’interesse dei figli a restare nell’habitat domestico e solo dopo a tutelare il patrimonio familiare. L’attribuzione non può prescindere dall’affidamento dei figli anche se la casa è di proprietà esclusiva di uno dei coniugi. In caso di addebito, l’assegno alimentare non tiene conto delle condizioni di vita del beneficiario in costanza di matrimonio. È quanto emerge dalla sentenza 23591/10 della Cassazione.
La sentenza
Sbaglia il giudice del merito ad assegnare la casa familiare all’altro, che pure è proprietario esclusivo dell’immobile, ma non risulta affidatario dei figli (la vicenda è precedente all’affido condiviso); la convivenza con i minori, o con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, è un presupposto inderogabile per l’attribuzione dell’immobile, a prescindere dalla titolarità del bene. La sentenza di merito fa di più: fissa entro un anno la data per il rilascio dell’abitazione, sostenendo l’opportunità di venderla, sul rilievo che l’eccessivo costo di gestione avrebbe depauperato l’asse ereditario (si tratta infatti di una villa).
È vero: l’assegnazione della casa non può sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole. Ma l’attribuzione dell’immobile non può essere certo subordinata agli oneri di manutenzione che gravano sul coniuge proprietario esclusivo, ma non affidatario dei figli: la ratio della norma, infatti, è assicurare ai minori la permanenza nella casa coniugale in quanto centro degli interessi e delle consuetudini della famiglia. Insomma: l’assegnazione è innanzitutto uno strumento per proteggere i figli e non può rispondere ad altre finalità; né gli interessi economici dei coniugi, o dei figli stessi, possono prevalere sacrificando il diritto alla permanenza nell’ambiente domestico.
Veniamo ora all’addebito della separazione per infedeltà (sia pure maturato in un contesto familiare difficile). È inutile per il coniuge riconosciuto responsabile della crisi coniugale censurare il criterio con cui è liquidato l’assegno alimentare: l’onerato, che è «incolpevole», deve in questo caso limitarsi a fornire all’altro, che versa in stato di bisogno, i mezzi sufficienti per una vita dignitosa. L’assegno, dunque, ha un importo ben minore rispetto al mantenimento ex articolo 156 Cc, che impone invece di garantire al beneficiario tutti gli agi goduti prima che il matrimonio finisse. Nel primo caso, diversamente che nel secondo, non risultano allora rilevanti le condizioni patrimoniali dell’onerato.
http://www3.lastampa.it/i-tuoi-diritti/sezioni/famiglia-successioni/news/articolo/lstp/380759/
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