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Fumo passivo: l’INAIL è tenuta all’indennizzo
E’ indennizzabile dall’INAIL anche la broncopatia derivante da esposizione al fumo passivo ancorché trattasi di malattia professionale non tabellata.
Secondo la Corte di cassazione, infatti
1. la tutela antinfortunistica del lavoratore si estende alle ipotesi di c. d. rischio specifico improprio, definito come quello che, pur non insito nell’atto materiale della prestazione lavorativa, riguarda situazioni ed attività strettamente connesse con la prestazione stessa (cfr., ex multis, Cass. 131/1990 in tema di pause fisiologiche; ex multis, Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass. 3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass. 1944/2002, Cass.6894/2002, Cass.5841 /2002, Cass.7633/2004, Cass. 5354/2002, Cass. 16417/2005, Cass. 10317/2006, Cass. 27829/2009 in tema di atti di locomozione interna; ed ancora Cass.3765/2004 in tema di attività prodromica e strumentale all’attività lavorativa);
2. la nozione di rischio ambientale comporta che è tutelato il lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto quello reso presso le macchine, essendo la pericolosità data dall’ambiente di lavoro (a partire da Cass. SU 3476/94);
3. i fattori di rischio per le malattie non tabellate comprendono anche quelle situazioni di dannosità che, seppure ricorrenti anche per attività non lavorative, costituiscono però un rischio specifico per l’assicurato (v. Cass. 14565/99).
“.. invero, nel caso di malattia professionale non tabellata, come del resto per la malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità. A tale riguardo, il giudice deve non solo consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni utile iniziativa ex officio, diretta ad acquisire ulteriori elementi (nuove indagini o richiesta di chiarimenti al consulente tecnico ecc.) in relazione all’entità ed all’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio, ed anche considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta, con elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia (ex multis, Cass. 11128/2004; Cass. 5352/2002).
Inoltre … l’ausiliare nominato dal Giudice può giungere al giudizio di ragionevole probabilità anche in base alla compatibilità della malattia non tabellata con la noxa professionale, desunta dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti sul luogo di lavoro, della durata della prestazione lavorativa, e per l’assenza di altri fattori extra-professionali, utilizzando, a tale scopo, congiuntamente anche dati epidemiologici, per suffragare una qualificata probabilità. Per questa via probabilistica il dato epidemiologico, che di per sé attiene ad una diversa finalità, può assumere un significato causale, tant’è che la mancata utilizzazione di tale dato da parte del giudice del merito, nonostante la richiesta della difesa corroborata da precise deduzioni del consulente tecnico di parte, è denunciatabile per Cassazione (vedine, per tutte, Cass. 20665/2005, Cass. 8073/2004, 8073/2004)”.
Nella specie la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte territoriale che ha espressamente fatto proprie le conclusioni cui il consulente pneumologo è pervenuto sulla base dell’anamnesi lavorativa e patologica e alla stregua dei più recenti studi epidemiologici che hanno confermato la stretta correlazione tra l’esposizione al fumo passivo e i sintomi respiratori cronici.
Inoltre, la Corte ha ritenuto documentalmente provato che negli uffici comunali ove il lavoratore svolgeva la prestazione non vigeva alcun di divieto di fumo, e ciò per decenni e fino al 4 maggio 1998 allorché, con ordinanza in pari data, veniva dettato il divieto di fumo negli uffici comunali di Linguaglossa. Ed ancora, la Corte territoriale, in difetto di prova in ordine all’esistenza di adeguati apparecchi di areazione e aspirazione
forzata, ha escluso che la presenza di finestre nel locale ove il dipendente lavorava consentisse comunque di pervenire ad un giudizio di salubrità ambientale, rimarcando tale valutazione sulla base del rilievo secondo cui la rigidità del clima della località ove si trovavano gli uffici del comune e ove il lavoratore prestava la sua attività, non consentisse lo svolgimento della prestazione lavorativa a finestre aperte.
Fonte:http://www.studiodiruggiero.it/fumo-passivo-indennizzo-inail/
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