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  • «Un decreto al mese per liberalizzare Tasse? No, capitolo chiuso»

    Passera: crescita, abbiamo un piano. Sul commercio le prime aperture. Ora gas, energia, trasporti e professioni

    «Da due mesi a oggi, un grande effetto c'è già stato: un forte recupero di credibilità e di fiducia, che anche l'altro giorno a Parigi si percepiva con chiarezza. Credibilità conquistata sul campo dal presidente del Consiglio e dall'intero Paese. Riforme coraggiose che aspettavano da tempo, come quella delle pensioni, che il governo ha proposto, il Parlamento ha approvato in tempo record e la gente ha accolto con una reazione molto composta».

    Ministro Passera, eppure la situazione resta difficile. E lo spread oltre quota 500.
    «È vero, l'emergenza non è finita. Il peggio è passato: abbiamo corso davvero il rischio della Grecia, del disastro. Non siamo ancora fuori dal tunnel. Però un progetto di rilancio del Paese è stato avviato con determinazione. Ogni ministero ha il suo compito da svolgere. Si lavora bene insieme, e questo accelera e rende più efficace il lavoro di tutti. Abbiamo un piano per la crescita. Per liberalizzare e favorire i consumatori. Per sostenere le imprese. Per investire nell'istruzione, nella ricerca, nella giustizia. L'Italia ha fatto e farà la sua parte. Serve però che la faccia anche l'Europa. A cominciare dalla Germania».

    Dopo il bilaterale a Berlino della prossima settimana, la cancelliera Merkel sarà in Italia il 20. Che cosa chiede il governo alla Germania, all'Europa?
    «L'Europa non riesce a decidere con visione e pragmatismo, i mercati valutano che l'Europa non ce la faccia, quindi scommettono contro; e i Paesi con un debito più alto soffrono di più. O l'Europa decide di darsi gli strumenti che qualsiasi moneta ha, vale a dire una Banca centrale in grado di garantire la liquidità e la stabilità, oppure non ci sarà crescita, e non ci sarà occupazione. La Germania è il Paese che ha avuto maggiori vantaggi dall'euro. Sono certo che svolgerà il ruolo che le compete di Paese leader, non di Paese che spacca l'Europa. L'Europa deve avere il coraggio di dire al mondo che garantisce se stessa. Altrimenti, con questi tassi di interesse, crescere è quasi impossibile».

    Nel frattempo in Italia cresce il disagio sociale.
    «È vero. Il disagio occupazionale cresce visibilmente, e va ben oltre il numero dei disoccupati. Bisogna considerare anche gli inoccupati che non cercano neppure lavoro, i cassintegrati, i sottoccupati. In tutto sono almeno sei milioni di persone. E questo è un peso enorme per le famiglie italiane, perché significa paura del futuro. L'Italia, come l'Europa, deve lavorare per il rigore, ma anche per la crescita. La politica deve misurarsi in termini di posti di lavoro creati, non solo di Pil e di equilibrio dei conti. Se non cresciamo non potremo garantire al mondo che avremo la capacità di restituire il debito».

    Finora si sono viste soprattutto tasse. O no?
    «Non è così. A parte l'intervento sulle pensioni, che ha messo sotto controllo la più grande voce di spesa pubblica, nella manovra "salva Italia" ci sono 6 miliardi per le imprese che assumono e investono su se stesse. Ci sono 4 miliardi per le famiglie, che senza il decreto avrebbero avuto minori detrazioni. Ci sono 20 miliardi per il credito alle pmi, grazie al fondo di garanzia. E in queste settimane abbiamo sbloccato 15-20 miliardi per cantieri vari: metropolitane, ferrovie».

    All'evidenza, non basta. Che cos'altro prevede il vostro piano per la crescita?
    «Cose molto concrete. Per favorire l'innovazione, la revisione del sistema degli incentivi. Per stare accanto alle aziende che stanno salvando l'Italia grazie alle esportazioni, già c'è il nuovo Ice (Istituto per il commercio con l'estero), ma aiuteremo in molti altri modi le nostre imprese a stare sui mercati internazionali. Faremo sì che venga saldato lo scaduto dei pagamenti privati e pubblici: 60-80 miliardi di debito forzoso che gravano sulle imprese e stanno diventando un peso insopportabile».

    Nessuno paga più nessuno. Come invertire la tendenza? «In breve tempo adotteremo la direttiva europea per cui tutti i pagamenti devono avvenire entro 60 giorni. Stiamo lavorando su vari modi alternativi per smaltire l'accumulato, senza intaccare gli obiettivi di contenimento di deficit e debito pubblico: servirà probabilmente la collaborazione della Cassa depositi e prestiti e delle banche, ma un modo va trovato velocemente. Compresi i pagamenti in Bot».

    Altre misure?
    «Dobbiamo mettere più soldi in tasca a chi ha i redditi più bassi, in cambio di maggior produttività per le aziende. E dobbiamo semplificare, snellire l'enorme costo burocratico che grava sulle imprese che vorrebbero investire, crescere, nascere».

    Come procederete con le liberalizzazioni? Per decreto?
    «Sì. Abbiamo già cominciato, rafforzando l'Antitrust e aprendo ulteriormente il settore del commercio. Andremo avanti. Ogni mese».

    Un decreto al mese?
    «Anche più di uno, non solo sulle liberalizzazioni ma su tutti i temi della crescita. Apertura dei mercati, lotta ai blocchi e alle rendite di posizione, aumento della concorrenza. A parole sono tutti d'accordo, tranne quando viene toccato il proprio settore. Per questo procederemo in ogni campo: gas, energia, commercio, trasporti, professioni. Ogni cosa fa parte del progetto per creare crescita sostenibile. Tutti dovranno fare la loro parte».

    Come spiega il crollo in Borsa di Unicredit? Più in generale, il sistema bancario italiano è davvero solido?
    «Le banche italiane sono state tra le poche a proseguire le loro attività senza chiedere nulla allo Stato. Certo, essendo legate all'economia reale, quando l'economia reale va male, ne risentono. L'esplosione del costo della raccolta e la botta delle nuove regole che obbligano a svalutare l'investimento nei debiti pubblici hanno fatto il resto. Le banche che hanno fatto gli aumenti di capitale per tempo tengono meglio. Quelle che hanno tardato a fare aumenti di capitale sufficienti sono più in difficoltà. Ciò non toglie che siano banche strutturalmente sane e forti».

    E l'apparato produttivo è in grado di reggere alla crisi?
    «C'è una base di aziende che tiene su l'Italia. Sono le aziende che fanno il 30% del Pil grazie alle loro esportazioni. Automazione, agrindustria, sistema moda, sistema casa: grazie a loro, l'Italia non perde quote del commercio internazionale o ne perde meno di altri Paesi. Dobbiamo fare di tutto per aiutare queste aziende, e anche per facilitare gli investimenti dei gruppi internazionali in Italia. Il fatto di aver risolto il contenzioso Edf-Edison, che si trascinava da anni, mostra che l'Italia fa sul serio, e se la giocherà anche sul dossier energia. Le filiere della salute e del turismo possono dare grandi risultati, grazie agli investimenti che faremo nella ricerca, nelle infrastrutture, nei trasporti. Parliamo di oltre 200 miliardi di ritardi accumulati nelle infrastrutture strategiche. Che daranno sollievo anche al settore delle costruzioni».

    Dove li trovate i soldi?
    «Di sicuro, non con nuove tasse».

    Non ci sarà un'altra manovra?
    «No. Finito. Quel che c'era da fare è stato fatto. Per finanziare il piano crescita dovremo ridurre i costi degli apparati pubblici; e di spazio ce n'è tanto. Solo nel mio ministero, nell'ambito delle strutture di mia pertinenza, abbiamo realizzato tagli per il 35%. Ci sono sprechi da ridurre, abusi da sanare: pensiamo solo alle false pensioni di invalidità. Useremo meglio i fondi europei: con il ministro Barca abbiamo recuperato quasi tre miliardi per il Sud. Troveremo risorse con privatizzazioni e dismissioni. E con il recupero dell'evasione fiscale».

    Che effetto le fa l'operazione Cortina? Non si è esagerato?
    «L'evasione in Italia è scandalosamente diffusa. È giusto combatterla. Per potere in prospettiva abbassare le tasse - famiglie e imprese oneste ne pagano troppe - dobbiamo far pagare tutti».

    Quando parla di privatizzazioni pensa anche a Eni, Enel, Finmeccanica?
    «Pensiamo per il momento a un patrimonio di immobili, crediti, concessioni ancora da valorizzare. Pensiamo alle municipalizzate, al trasporto pubblico locale, alle miriadi di piccole aziende frammentate e inefficienti, che devono essere accorpate, quotate, messe in condizioni di partecipare ad aste aperte, di stare sui mercati e competere con i migliori operatori esteri».

    Il superamento dell'articolo 18, che prevede la licenziabilità solo per giusta causa, può servire alla crescita?
    «Non era un prerequisito del tavolo sul lavoro, come Elsa Fornero ha ben chiarito. Che vada migliorata la flessibilità in entrata, e resa più logica la flessibilità in uscita, è evidente. Per superare il dualismo del mercato del lavoro, che penalizza i giovani, servono contratti più chiari, più responsabilizzanti per le aziende. Dobbiamo ridurre l'abuso del precariato, valorizzare il contratto di apprendistato, liberare una generazione dalla condanna a sottolavori senza prospettive. Per poter crescere, le aziende devono diventare più produttive, in termini di utilizzo degli impianti, di orari, e avere attorno a loro un sistema Paese più efficiente».

    Non nota un'insofferenza crescente da parte del partito di maggioranza relativa e del suo leader, Berlusconi?
    «Una certa insofferenza di chi era in carica e ha passato la mano a un governo terzo è umanamente comprensibile. Che questo governo abbia fatto cose che non si riusciva ad affrontare da anni può aumentare l'insofferenza. Ma in Berlusconi vedo una sincera volontà di contribuire a far uscire l'Italia dall'angolo. La classe politica ha mostrato grande disponibilità a sacrificare interessi di breve termine. E l'opinione pubblica ha accettato i sacrifici».

    Ne è così sicuro?
    «Sì. Certo, vedo fare capolino pure demagogia e populismi...».

    Ad esempio?
    «Quando si dice che i sacrifici sono inaccettabili. Quando si cercano i capri espiatori. Quando si pretendono miracoli in un mese. L'altro nemico è la rassegnazione di chi pensa che l'Italia non ce la possa fare. Mentre è vero il contrario».

    Conferma che le frequenze tv non saranno più gratis?
    «Confermo che non vedo ragioni per andare avanti con le concessioni gratuite, per regalare questi beni pubblici nel nuovo contesto tecnologico e di mercato. Trasformeremo la questione in un'opportunità per ammodernare il sistema di telecomunicazioni».

    Lei ha venduto le sue azioni Intesa. Questo non risolve ancora la questione del conflitto di interessi. Da banchiere lei ha contribuito ad avviare iniziative industriali, dalla nuova Alitalia ai treni privati, che potrebbe favorire da ministro.
    «Il problema non esiste per chi mi conosce. Chi non mi conosce si toglierà ogni dubbio vedendo il mio operato. Il modo in cui è stato sciolto il nodo Edf-Edison smentisce chi poteva pensare che volessi favorire qualcuno. Abbiamo creato l'Autorità dei trasporti proprio come garanzia di trasparenza nell'ambito ferroviario. Ho giurato di fare solo l'interesse pubblico. E il fatto che abbia venduto le mie azioni, senza esserne obbligato, e con un forte danno, conferma la serietà delle mie intenzioni».

    I giornali hanno scritto della sua intenzione di fondare un partito, di incontrare il capo dei vescovi Bagnasco...
    «...Beh, si tratta di due cose decisamente diverse».

    Quale sarà il suo futuro politico?
    «Guardi, il cambio di vita è stato così veloce e impegnativo, che per ora proprio non ci penso. Ho 300 tavoli di crisi aziendali aperti, i progetti per la crescita da varare...».

    Non sia evasivo.
    «Non sono evasivo, sono sincero. A parte la straordinaria esperienza con cui abbiamo cambiato le Poste, avevo sempre lavorato nel privato, sia pure nello spirito dell'interesse generale. Occuparsi della cosa pubblica è straordinario. Se sarò capace di farlo, lo vedremo. Saranno gli italiani a decidere se sarà stato un buon lavoro. Finora non sono mai riuscito a immaginare il mio futuro più lontano. E il futuro mi ha sempre sorpreso».

    http://www.corriere.it/economia/12_gennaio_08/passera-intervista-crescita-cazzullo_8120ab24-39c7-11e1-b6d5-d3e076de4b02.shtml

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