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  • Le norme vigenti sui reati telematici

    La consapevolezza della crescita tecnologica deve contestualmente attirare l’attenzione del Legislatore e degli operatori di diritto. Non è sufficiente conoscere il reato telematico quanto piuttosto avere un quadro preciso della normativa a cui poter fare riferimento sul piano del diritto nazionale, europeo ed internazionale,
    anche da parte dei cittadini. Lo sviluppo delle tecnologie negli ultimi decenni ha permesso di disegnare nuovi scenari. Se, da un lato, tale notevole sviluppo ha avuto risvolti positivi quali lo scambio e la trasmissione immediata di dati tra utenti in ogni luogo del mondo situati, dall’altro i computer crimes o reati informatici, possono essere considerati la conseguenza negativa dell’informatica. Se le attività si svolgono principalmente con l’ausilio di Internet o comunque della tecnologia, anche le attività illecite ne seguiranno l’evoluzione nelle forme e nelle pratiche. Diviene necessario sviluppare idonee contromisure atte a contrastare e limitare il progredire di queste forme di crimine, parallelamente sviluppando metodologie, pratiche e normative, in grado di contrastarne gli effetti. Potrebbe farsi una distinzione tra reati informatici veri e propri e crimini cosiddetti tradizionali o convenzionali in cui l’uso delle tecnologie è solo un supporto in più per il raggiungimento dello scopo. In quest’ultimo caso la normativa è preparata a contrastarli con il diritto vigente. Nel caso dei computer crimes il confronto con la legislazione non sempre trova risposte chiare e facilmente reimpiegabili alla nuova realtà digitale per le conseguenti violazioni. In verità l’esigenza di punire i crimini informatici emerse già all’inizio degli anni ottanta. La necessità di un intervento volto a regolare comportamenti socialmente dannosi o pericolosi messi in atto attraverso l’uso delle nuove tecnologie era stata avvertita con una certa apprensione: numerosi Stati, sia europei che extraeuropei, hanno dovuto dotarsi a riguardo di una specifica legislazione penale. Lo stesso Consiglio d’Europa, nel 1989, emanò una “Raccomandazione sulla Criminalità Informatica”. Proprio in tale documento i Governi Europei furono invitati a perseguire penalmente alcune condotte ritenute maggiormente pericolose. In particolare, il suddetto atto indicava alcune fattispecie di reati quali: la frode informatica (ossia l’alterare un procedimento di elaborazione dati con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto); il falso in documenti informatici; il danneggiamento di dati e programmi; il sabotaggio informatico; l’accesso abusivo associato alla violazione delle misure di sicurezza del sistema; l’intercettazione non autorizzata; la riproduzione non autorizzata di programmi protetti; la riproduzione non autorizzata di topografie. In Italia, il legislatore nel 1993, con la Legge 23 dicembre n. 547 rubricata “Modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica”, ha cercato di porre rimedio alle lacune esistenti nell’ordinamento intervenendo sul Codice Penale e sul Codice di Procedura Penale. Nello specifico ha collocato le nuove fattispecie di reati informatici accanto alle figure di reato, per così dire tradizionali, analoghe e già esistenti. Già prima della richiamata legge vi erano stati, nel nostro Paese, sporadici interventi che avevano interessato, in modo pressoché diretto, questa materia. Trattasi della Legge 18 maggio 1978 n. 191, con la quale era stato introdotto l’articolo 420 Codice Penale che, nel sanzionare l’attentato ad impianti di pubblica utilità, menzionava esplicitamente anche gli impianti di elaborazione di dati (norma in seguito sostituita dall’articolo 2 della legge 547) o della Legge 1 aprile 1981 n. 121, contenente il “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza”, istitutiva del Centro di Elaborazione Dati presso il Ministero dell’Interno. Solo negli anni novanta vennero emanate nuove disposizioni relative a reati informatici, come l’articolo 12 della Legge 5 luglio 1991 n. 197 (che punisce l’uso indebito di carte di credito), l’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 518 del 1992 (che tutela penalmente una serie di condotte riguardanti la “pirateria informatica”) poi aggiornato negli importi delle sanzioni pecuniarie dal Decreto Legislativo n. 205 del 1996 e successivamente modificato dalla Legge n. 248 del 2000, fino ad arrivare ad atti normativi più recenti, a tutela della privacy e delle banche dati, rappresentati dalla Legge n. 675 del 1996 “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” e dal Decreto Legislativo n. 169 del 1999 “Attuazione della Direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati”, e inoltre contro la pornografia infantile su internet a tutela dei minori la Legge 3 agosto 1998, n. 269 “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”. In ultimo vanno indicati due importanti interventi normativi: il Decreto Legislativo n. 82 del 2005, conosciuto come il Codice dell’Amministrazione Digitale, ed il Decreto Legislativo n. 196 del 2003 con cui sono state apportate alcune modifiche alla legge del 1996 sulla tutela alla privacy. La Legge n. 547 del 1993, primo vero e proprio intervento in materia, ha introdotto (o affinato) nell’ordinamento italiano una serie di reati informatici caratterizzati dalla previsione che l’attività illecita, come precedentemente specificato, abbia come oggetto o mezzo del reato un sistema digitale o telematico. Genericamente, nonostante le modifiche apportate dal Legislatore, l’insieme dei sistemi informatici e delle reti telematiche non permette una copertura normativa assoluta, richiedendo continui interventi di carattere prescrittivo, quasi di pari passo con la continua evoluzione degli stesse tecnologie e non distogliendo, nel contempo, l’attenzione dalle normative internazionali vigenti in materia. Il primo accordo internazionale in materia per l’attività di contrasto del computer crime è dato dalla stesura della “Convenzione sul Cybercrime”, Budapest 23 novembre 2001, volta all’azione preventiva e repressiva in materia di crimini informatici. Con la Legge 18 marzo 2008, n. 48 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 4 aprile 2008, n. 80) recante la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa di Budapest sulla criminalità informatica del 23 novembre 2001, l’Italia è tra i Paesi che hanno ratificato l’accordo, in vigore dal 01 ottobre 2008. L’obiettivo del Trattato è quello di avere uno strumento internazionale per la lotta del cyber crime attraverso una politica comune ed una legislazione appropriata. La Convenzione offre le nozioni di sistema informatico, dei dati e delle modalità di trasmissione degli stessi, per poi dedicarsi alle disposizioni di diritto penale sostanziale (dall’articolo 2 all’articolo 13), di procedura penale (dall’articolo 14 all’articolo 22) e di cooperazione in materia a livello internazionale (dall’articolo 23 all’articolo 35) senza tralasciare, anzi sottolineando, i principi di legalità e territorialità. Le fattispecie punibili riguardano i delitti contro la sicurezza dei sistemi informatici, la falsità e la frode informatica, i crimini a contenuto pedopornografico e gli illeciti relativi al diritto d’autore. Punto di forza del documento normativo è l’estensione della imputabilità delle fattispecie di reato anche agli enti e, quindi, la previsione della responsabilità non più esclusivamente delle persone fisiche. La criminalità informatica ha una portata internazionale per cui l’unico mezzo di contrasto, considerati anche i fattori spazio temporali dei computer crime, è la cooperazione tra i Paesi attraverso uno strumento normativo che affianca ed arricchisce il diritto penale interno, è d’ausilio alle forze dell’ordine e delle autorità giudiziarie nazionali. http://www.filodiritto.com/articoli/2015/07/le-norme-vigenti-sui-reati-telematici.html

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