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CASSAZIONE: La materia della sicurezza nei luoghi di lavoro nel segno della continuità normativa
Nota alla Sentenza n. 23976 del 7 maggio 2009 – depositata l’11 giugno 2009 (Sezione Terza Penale, Presidente P.L. Onorato, Relatore G. Amoroso)
Con la sentenza n. 23976 del 7 maggio 2009 (deposito dell’11 giugno 2009) la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di proscioglimento con la quale il giudice di merito aveva dichiarato non essere più reato la fattispecie prevista dall’art. 8 d.P.R.. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) affermando che sussiste continuità normativa fra il reato previsto dall’abrogata disposizione e la fattispecie penale introdotta, in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, dal combinato disposto degli artt. 63, 64, 68, lett.b – in relazione all’allegato IV, punto 1.4.1. del D.Lgs. n. 81/2008 (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro): ciò, in quanto la nuova normativa pone tuttora delle prescrizioni quanto alla sicurezza dei luoghi di lavoro, financo più dettagliate di quelle previgenti, il che basterebbe ad escludere che nel caso di specie possa ravvisarsi un’ipotesi di abolitio criminis.
La pronuncia in parola non può che risultare di interesse nella misura in cui va ad aggiungere un ulteriore tassello interpretativo, ma foriero di risvolti pratici di non poco momento, in una materia in cui, malgrado gli sforzi di razionalizzazione, si continua ad avere l’impressione di una sorta di navigazione a vista.
In via preliminare pare opportuno illustrare il caso che ha sollecitato le conclusioni rassegnate dai Supremi Giudici.
Il legale rappresentante di una società gestrice di un impianto di depurazione veniva tratto a giudizio per rispondere in tale qualità, oltre che come datore di lavoro, del reato di cui agli artt. 8, comma 1, 389, lett. c, d.P.R.. 27 aprile 1955, n. 547 perché ometteva di dotare i camminamenti e le piattaforme degli impianti di ossidazione di idonee protezioni, quali parapetti, ringhiere, catenelle onde scongiurare rischi di infortunio per i lavoratori operanti nelle vicinanze, nonché del reato di cui agli artt. 374, 389, lett.b, d.P.R.. 27 aprile 1955, n. 547, perché, nelle suesposte qualità, non manteneva in buono stato di conservazione ed efficienza impianti, luoghi di lavoro, e servizi a questi accessori .
Il giudice di merito emetteva, tuttavia, sentenza di non doversi procedere per intervenuta abrogazione della normativa indicata ad opera dell’art. 304 del D.Lgs. n. 81/2008 .
Ricorreva per Cassazione Il Procuratore della Repubblica articolando un unico motivo con il quale, pur riconoscendo che l’art. 304 del T.U. sicurezza aveva abrogato integralmente il d.P.R. 547/55, evidenziava che, cionostante, non si poteva ravvisare in tale abrogazione un fenomeno di abolitio criminis ex art. 2, comma 2, c.p. (che, come noto, ricorre qualora una norma incriminatrice venga abrogata senza che la fattispecie astratta da essa disciplinata riviva o nella nuova norma che la sostituisce ovvero per effetto dell’espandersi di una norma incriminatrice già esistente) ma doveva riconoscersi un fenomeno di abrogatio sine abolitione ex art. 2, comma 4, c.p. (che, come noto, ricorre invece quando all’abrogazione della norma incriminatrice non corrisponde il venir meno, l’abolizione, della fattispecie astratta disciplinata): ciò in quanto il precetto contenuto nell’art. 8, comma 1, d.P.R. 547/55 risultava integralmente trasfuso nella nuova norma precettiva contenuta nell’allegato 4, al punto 1.4.1. del D.Lgs. n. 81/2008. In particolare, evidenziava il P.M., aderendo evidentemente al criterio strutturale del rapporto tra norme, che tale continuità normativa fosse desumibile dalla identità degli elementi strutturali delle due fattispecie incriminatrici.
La tesi esposta convinceva la Corte di Cassazione che accoglieva il ricorso limitatamente alla fattispecie di cui al primo capo di imputazione, per la quale solo era stato proposto, e annullava con rinvio alla Corte d’Appello precisando, incidenter, che l’efficacia retroattiva della sentenza della Corte Costituzionale n. 26 del 2007 che aveva dichiarato illegittimo l’art. 593 c.p.p. nella parte in cui escludeva il potere di appello del p.m. avverso le sentenze di proscioglimento, comportava, in relazione al ricorso presentato dal p.m. direttamente in cassazione ai sensi del sostituito art. 593 c.p.p., che la sentenza impugnata doveva essere considerata appellabile con la conseguenza che il ricorso era stato trattato e deciso dalla Corte di Cassazione alla stregua di un ricorso per saltum a norma dell’art. 569 (che in caso di accoglimento prevede l’annullamento con rinvio al giudice d’appello).
Nel merito, la Corte verificava l’esistenza dell’asserito rapporto strutturale tra norme riscontrando che, in effetti, la nuova normativa poneva delle prescrizioni addirittura più dettagliate quanto alla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Ed invero, l’art. 8 d.P.R. 547/55 prescriveva che i pavimenti degli ambienti di lavoro e dei luoghi destinati al passaggio non dovessero presentare buche o sporgenze pericolose e dovessero essere in condizioni tali da rendere sicuro il movimento e il transito delle persone e dei mezzi di trasporto, prescriveva inoltre che i pavimenti e i passaggi non dovessero essere ingombrati da materiali che ostacolassero la normale circolazione.
Tali prescrizioni, malgrado la formale abrogazione, non potrebbero – secondo la Corte - considerarsi abolite in quanto, in virtù del rinvio a catena operato dall’art. 64 all’art. 63 e dall’art. 63 all’allegato IV, il datore di lavoro continuerebbe ad essere penalmente obbligato a provvedere affinchè i luoghi di lavoro siano conformati in modo tale che: le vie di circolazione siano situate e calcolate in modo che i pedoni o i veicoli possano utilizzarle facilmente in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio; le vie di circolazione siano sgombre allo scopo di consentire l’utilizzazione in ogni evenienza; i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi siano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate; gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all’eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e a controllo del loro funzionamento.
La nuova normativa quindi, come già messo in luce da un precedente richiamato dalla Suprema Corte (il riferimento è a Cass. Pen., Sez. III, 10.10.2008 – 06.11.2008, n. 41367), si porrebbe sulla scia di quella solo formalmente abrogata le cui sanzioni andrebbero applicate, per i fatti commessi sotto la sua vigenza, in quanto più favorevoli (art. 389 lett. c d.P. R. 547/55: arresto sino a tre mesi o'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni ; art. 68 lett. b d.lgs. 81/08: arresto da tre a sei mesi o ammenda da 2.000 a 10.000 euro).
fonte laprevidenza
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