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LA MEDIAZIONE ENTRA NEL NOSTRO ORDINAMENTO NON SEMPRE E NON TUTTO VA PORTATO IN TRIBUNALE
Parte prima
In data 19.02.2010 il Consiglio dei Ministri ha approvato all’unanimità il decreto legislativo attuativo della delega prevista dall’art. 60 della Legge 69/2009, con il quale è stata introdotto nel nostro Ordinamento l’Istituto della Mediazione finalizzata alla Conciliazione nelle controversie civili e commerciali.
Si tratta di una riforma che può ben definirsi epocale, sicuramente di enorme portata, una riforma finalizzata a trasformare radicalmente non solo la procedura civile, ma, soprattutto, destinata ad incidere sulle abitudini e sulla mentalità dell’operatore del diritto, sul suo modo di vivere e gestire il conflitto, indirizzandolo verso la ricerca della soluzione della controversia non più sempre e comunque nelle sedi giurisdizionali, bensì perseguendo e praticando forme di composizione del conflitto che, per loro intrinseca natura, non prevedono assolutamente l’emanazione di un provvedimento reso da un Giudicante.
Nei Paesi anglosassoni, già da tempo sono andate affermandosi forme alternative di soluzione delle controversie, attraverso l’adozione di sistemi che prescindono dall’adire sempre e comunque un Organo Giurisdizionale e che, al contrario, si basano sull’approccio assistito e guidato tra le parti in lite; tali sistemi si sono sviluppati perseguendo due precise e distinte istituzioni: quella dell’arbitrato, già sufficientemente noto anche nell’Ordinamento italiano e quella della mediazione/conciliazione.
Questa, in Italia, benché istituita sin dal 2003, non ha, a tutt’oggi, trovato ampi margini applicativi, eccettuati i casi in cui la conciliazione sia stata prevista come condizione di procedibilità dell’azione, come, ad esempio, nel diritto del lavoro, ma questa forma procedurale deve essere considerata praticamente fallita, in quanto, come ha ben precisato il Ministro Alfano, fino ad oggi la gestione dei tentativi di conciliazione non è stata affidata a soggetti altamente qualificati, quali gli Organismi di conciliazione individuati nel decreto, adeguatamente formati, vigilati dal Ministero della Giustizia, stabilmente destinati ad operare in tale settore; inoltre nulla è stato fatto per diffondere la “cultura” della conciliazione, tanto che, col tempo, le procedure di conciliazione nelle materie in cui sono state rese obbligatorie, hanno assunto una funzione di mero adempimento pre-processuale, percepito come tale soprattutto dagli Avvocati, i quali, nel tempo, hanno perso fiducia nell’Istituto, così come concepito ed attuato prima del recente intervento governativo.
La prima vera forma di conciliazione, intesa quale strumento alternativo al procedimento in sede giurisdizionale, è stata istituita in Italia con il D.Lgs. 17 Gennaio 2003 n. 5, che ha riformato il diritto societario ed ha, con i successivi decreti 222 e 223 del 2004, regolamentato e disciplinato gli Organismi deputati a gestire i tentativi di conciliazione, ma solo tre anni dopo, a Gennaio 2007, sono stati costituiti in Italia i primi Organismi di conciliazione in materia societaria ed è stato reso operativo il relativo Registro istituito presso il Ministero della Giustizia (vedi il link http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_10_1.wp )
Il decollo è stato lungo e solo la lungimiranza dell’attuale Legislatore, unita ad una chiara visione della Giustizia, intesa come servizio essenziale da fornire al cittadino e la cui atavica lentezza ha inibito ed inibisce sempre più lo sviluppo del Paese, ha consentito di pervenire alla generalizzazione della mediazione, istituita non più in singole materie, ma aperta a tutte le controversie civili e commerciali, ovviamente solo per quanto afferisce ai diritti disponibili, nonchè considerata, al di fuori delle ipotesi di obbligatorietà, come scelta primaria che l’utente della giustizia può effettuare sulla scorta di un criterio volontaristico, ma fortemente incentivato proprio dal Legislatore con l’adozione di strumenti che successivamente andremo ad esaminare.
Le conseguenze di tale riforma sono di enorme rilievo, in quanto sia la delega, sia il decreto attuativo, fortemente voluti non solo dal Premier, ma anche dal Guardasigilli Angelino Alfano, costituiscono un orientamento governativo unanime che va ad incunearsi in un alveo che prevede la soluzione del conflitto fondata non già sulla concezione dello stesso che vuole un vincitore e uno sconfitto (win – lose), bensì su una nuova interpretazione del conflitto, la cui soluzione prevede che entrambe le parti possano soddisfare i propri bisogni e/o i propri interessi; tale teoria, finalmente attuata, vede le parti come “vincitore – vincitore” (win – win), in quanto non solo non è intervenuta nessuna sentenza, nessun provvedimento a decretare la vittoria dell’una sull’altra parte, ma le parti hanno, sotto la guida di un terzo neutrale ed imparziale, il mediatore, potuto raggiungere una soluzione concordata del conflitto; in più, nella maggior parte dei casi, la conclusione positiva di un procedimento di mediazione vale a ripristinare un rapporto compromesso, il quale, nel caso di un giudizio che si protragga negli anni, non può che ulteriormente logorarsi e incancrenirsi e nessuna sentenza riuscirà mai a ripristinarlo. Anzi!
Il citato decreto legislativo, approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri del 19.02.2010, prevede l’obbligatorietà del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, il quale, pertanto, è posto quale condizione di procedibilità dell’azione giudiziale in diverse, importanti materie, compiutamente elencate nell’art. 5 del decreto, il quale, al comma 1, testualmente recita: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da veicoli e natanti, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione … per le materie ivi regolate”.
Approfondiremo la disamina della fattispecie nelle prossime pubblicazioni; per ora è sufficiente precisare che il procedimento di mediazione, per le materie non contemplate nell’art. 5 comma 1, è facoltativa, quindi comunque sempre esperibile, ovviamente solo per quanto attiene ai diritti disponibili; in tal caso è fatto obbligo all’avvocato di informare il cliente di ricorrere a tale forma di giustizia alternativa e l’informativa, formulata epistolarmente, deve essere sottoscritta dal cliente e prodotta agli atti in un eventuale futuro giudizio.
La mediazione, così come riformulata dal decreto legislativo, il quale, giova ricordarlo, ha abrogato gli articoli 38, 39 e 40 del D.Lgs. 05/2003, viene quindi ad assumere una funzione primaria nel nostro Ordinamento.
Ma forme di mediazione/conciliazione non erano del tutto sconosciute al nostro Ordinamento, basti pensare ad una tra tutte: la conciliazione obbligatoria prevista quale condizione di procedibilità dell’azione nel diritto del lavoro, Istituto miseramente naufragato nel marasma confuso delle Commissioni provinciali.
Il fallimento della conciliazione obbligatoria nel rito del lavoro ha lasciato presupporre a molti che la stessa sorte possa toccare alla mediazione introdotta dal Decreto del 19.02.2010; l’assioma è semplice: se è fallita la conciliazione presso le commissioni provinciali, perché dovrebbe attecchire con successo un istituto che interessa un numero di controversie certamente maggiore di quelle nella sola materia del lavoro?
La risposta trova la sua scaturigine nel D.Lgs 17.01.2003 n. 5, comunemente noto come “Riforma del diritto societario”. In tale decreto, per alcune materie, venne reso obbligatorio il tentativo di conciliazione, la cui gestione fu affidata ad Organismi, pubblici o privati, rispondenti a determinati requisiti ed iscritti in un apposito Registro tenuto e vigilato dal Direttore Generale del Ministero della Giustizia.
Già con questo primo atto il Legislatore tracciò una rotta ben precisa, istituendo una figura chiave nella gestione stragiudiziale del conflitto: gli Organismi deputati a gestire tentativi di conciliazione sotto la vigilanza del Ministero.
Da quel momento la conciliazione, che, fino a quel momento, era stata concepita come “paritetica”, ovvero affidata ad un collegio che comprendeva un rappresentante dei lavoratori, uno dei datori di lavoro ed un terzo neutrale, non sempre dotati di idonea preparazione, divenne “mediazione finalizzata alla conciliazione”, la cui gestione fu affidata ad un terzo imparziale, neutrale, opportunamente ed idoneamente formato, dotato di ben precisi requisiti ed iscritto negli elenchi dei conciliatori di uno o più Organismi accreditati presso il Ministero.
Il fallimento della conciliazione paritetica presso le Commissioni provinciali del lavoro, quindi, è stata determinata dall’approssimazione con la quale il Legislatore del 1998 costituì l’istituto, i cui componenti sono sempre stati selezionati non in base ad esperienza in materia di negoziazione o ad approfondimenti formativi, bensì solo perché appartenenti ad associazioni di categoria; inoltre non è stata efficacemente diffusa una “cultura” della mediazione e pertanto gli avvocati hanno sempre considerato – e a buon diritto e ragione – il tentativo di conciliazione come un fastidioso strumento dilatorio, rinunziando sovente a comparire dinanzi alla commissione anche nei rari casi di convocazione effettuata nei termini e attendendo esclusivamente lo spirare del termine dilatorio per poter poi esperire l’azione giudiziaria.
Dal 2003 la figura del Mediatore / Conciliatore assume un contorno più netto, più preciso; vengono stabiliti i requisiti per l’acquisizione della relativa qualifica professionale, vengono istituiti gli Enti preposti alla formazione specifica dei Conciliatori Professionisti.
Dal 2003, per assumere la “qualifica”, meglio la qualità di Conciliatore Professionista, occorre essere in possesso di uno dei requisiti di cui al seguente elenco e, pertanto, possono assumere la qualifica di Conciliatori Professionisti ed esercitare presso un Organismo di Conciliazione pubblico o privato:
professori universitari in discipline economiche o giuridiche
professionisti iscritti in albi nelle medesime materie (economiche o giuridiche), che vantino una anzianità di iscrizione di almeno 15 anni
magistrati in quiescenza
coloro che sono muniti di una specifica formazione acquisita in corsi specifici tenuti da soggetti accreditati presso il Ministero (università , enti pubblici, Organismi privati riconosciuti etc).
- LA MEDIAZIONE E IL MEDIATORE -
La mediazione finalizzata alla conciliazione è un mezzo non contenzioso di composizione delle controversie.
La sua funzione è quella di condurre le parti a una definizione della lite, tramite una negoziazione professionalmente assistita da un terzo neutrale ed imparziale, senza dover ricorrere ad un'azione giudiziaria.
Da questo presupposto si è mosso il Legislatore all’atto di normare l’istituto della mediazione, introdotta nel nostro Ordinamento tramite l’approvazione all’unanimità da parte Consiglio dei Ministri del 19.02.20109, del decreto attuativo della delega conferita al Governo dall’art. 60 della L. 69/2009.
La definizione della lite è atto riconducibile direttamente alla sfera delle volontà delle parti e non, come si verifica nel processo civile e nell'arbitrato rituale, alla decisione autoritativa di un organo terzo (il giudice, l'arbitro).
Sono le parti che, nell’ambito del procedimento, si adoperano, sotto la guida del Mediatore, per la ricerca di soluzioni negoziali, anche mediante l’allargamento della c.d. “torta negoziale”, in quanto la procedura è svincolata dai rigidi formalismi procedurali giurisdizionali che non prevedono soluzioni assunte ultra petitum, come, invece, è auspicabile che avvenga in un procedimento di conciliazione stragiudiziale.
Per contro, in un procedimento negoziale, è del tutto lecita e non è infrequente l’adozione di soluzioni creative che spesso non afferiscono strettamente all’oggetto della domanda, ma investono una molteplicità di rapporti esistenti o che potrebbero venire a generarsi in futuro tra le parti in lite; siamo, in quest’ultima ipotesi, in presenza di in Istituto atto a determinare e porre in essere quella che definiremo la “prevenzione del conflitto”.
Il Mediatore assume, quindi, un ruolo estremamente sensibile, perché deve essere capace di chiarire alle parti gli aspetti della controversia che esse devono considerare per pervenire o meno alla conciliazione, i vantaggi e le soluzioni che possono essere valorizzate ai fini della definizione condivisa della lite; il Mediatore deve riuscire a rimanere equidistante – melius, equiprossimo e neutrale, pur trovandosi in presenza di una questione che, se fosse un Giudice, ben saprebbe come risolvere a favore dell’una o dell’altra parte.
Il compito del Mediatore è, pertanto, principalmente, quello di orientare le parti nella ricerca di un accordo che si riveli soddisfacente per gli interessi di entrambe e non già quello di guidare le parti a definire la controversia con il codice alla mano; è quello di guidare le parti nella negoziazione, promuovendo e favorendo il raggiungimento dell'accordo. Egli, oltre a ricevere le eventuali proposte conciliative delle parti, può anche procedere a formularne una propria, che possa poi essere posta quale base di partenza nel definitivo atto conciliativo della lite e, su richiesta concorde delle parti, è obbligato a tanto.
Il Mediatore, peraltro, non assume alcuna decisione né emette alcun provvedimento dotato di autonoma efficacia giuridica, non essendo, si ripete, un giudice o un arbitro, bensì un “facilitatore”, professionalmente formato, posto in maniera equidistante e/o equiprossima tra le parti, autonomo, terzo, imparziale; la funzione del mediatore / conciliatore è, pertanto, quella di “traghettare” le parti verso l’accordo di conciliazione.
Tra i compiti del Conciliatore vi è quello di stimolare, in capo alle parti stesse, il tentativo di addivenire alla netta scissione delle due componenti – posizioni ed interessi - favorendo, per le parti in conflitto, l’esatta individuazione del reale interesse sottostante, a prescindere dalle posizioni formali assunte e dai convincimenti che in esse si sono radicati, spesso in seguito ad un logorio dovuto ad esasperazioni conflittuali che mal si attagliano con il perseguimento del fine reale che si intende raggiungere; è la classica “teoria dell’iceberg del conflitto”, gigantesco blocco di ghiaccio galleggiante, la cui parte nota è – come nel conflitto – quella emergente, indicativa in ogni caso di una struttura più complessa ed estesa, invece sommersa.
E’ compito del Mediatore quello di determinare nelle parti una presa d’atto della necessità dell’abbandono di posizioni precostituite, a totale vantaggio degli effettivi interessi perseguiti.
In molti casi gli interessi effettivi perseguiti dalle parti non coincidono con l’oggetto del contenzioso, costituendo, quest’ultimo, in numerose fattispecie, il corollario di una visione ormai obsoleta della giustizia e dell’attività giurisdizionale, che si fonda eminentemente sullo “scontro” tra le parti e non certamente sull’ ”incontro” tra le stesse; Il più delle volte, quindi, le posizioni assunte non coincidono con gli interessi reali delle parti.
Se volessimo definire la figura del Mediatore, potremmo indubbiamente chiamarlo “semplificatore”, in quanto trattasi di un soggetto terzo e totalmente neutrale rispetto alle parti ed alla controversia, il cui ruolo è quello di porre in essere tecniche di negoziazione volte ad aiutare le parti a trovare una soluzione negoziata al conflitto.
In questo percorso il Mediatore deve, innanzi tutto, mettere le parti a proprio agio, creare un’atmosfera positiva, precisare con estrema chiarezza il proprio ruolo, rendendo edotte le parti che non si trovano al cospetto né di un giudice, né di un arbitro, ricordando loro che non sono assolutamente obbligate a partecipare all’incontro di mediazione e che in qualsiasi momento possono abbandonare la procedura senza che da tale comportamento derivi alcuna conseguenza a loro carico, salvo quelle previste dal decreto attuativo del 19.02.10.
Abbiamo già precisato che il Mediatore non può gestire autonomamente procedure di conciliazione, ma deve, per poter esercitare, essere iscritto nell’elenco dei Mediatori / Conciliatori di uno o più Organismi, con un massimo di tre, accreditati presso il Ministero della Giustizia.
Solo dopo aver proposto domanda di ammissione ed aver ricevuto risposta positiva dall’Organismo, il Mediatore deve accettare il codice deontologico e di comportamento adottato dall’Organismo stesso, al quale dovrà fedelmente attenersi.
Qualora non sia in possesso dei requisiti che consentono l’acquisizione della qualifica di Conciliatore Professionista, dovrà frequentare con profitto un corso di formazione presso un Ente accreditato dal Ministero della Giustizia.
Il Decreto Dirigenziale 24 Luglio 2006
Tale norma determina i requisiti di accreditamento dei soggetti / Enti abilitati alla formazione dei conciliatori, fissando, contestualmente gli standard dei corsi; ecco, nel dettaglio, le principali caratteristiche cui devono rispondere i corsi per la formazione dei conciliatori:
Primo modulo:
1.Numero massimo di partecipanti: 30 per ogni corso;
2.Ore minime di lezione: 32, di cui:Almeno 16 ore di pratica 4 ore per la valutazione finale
Contenuti minimi:
a)Strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione;
b)Principi, natura e funzione della conciliazione;
c)Esperienze internazionali e principi comunitari;
d)Compiti, responsabilità e caratteristiche del conciliatore;
e)Rapporti tra conciliatore ed organismi di conciliazione;
f)Tecniche di conciliazione;
g)La procedura di conciliazione;
h)Rapporti con la tutela contenziosa.
Secondo modulo:
1.Le controversie di cui all’art. 1 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5;
2.I riti societari di cognizione ordinaria e sommaria.
8 ore
Comunemente il Mediatore deve fare riferimento alle norme deontologiche relative all’ambito professionale in cui opera, ovvero a quelle emanate dall’Ordine professionale di appartenenza.
Tuttavia si è soliti far riferimento ad una normativa deontologica comune a tutti i Conciliatori, a prescindere dalla loro professione di base e che trae ispirazione dal codice deontologico approvato dall’Unione Internazionale degli Avvocati (UIA) il 2 Aprile 2002
Avv. Vincenzo Ferrò
Presidente dell’Organismo di conciliazione ADR Concilmed
Tel. 081-2395736
Fax 081-5934834
www.adr-concilmed.it
info@adr-concilmed.it
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