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  • Mobbing : ancora lontani dall'assicurare giustizia

    Per Cesare Beccaria, "tutti sono uguali davanti alla legge" e le pene devono fra l'altro avere la caratteristica di essere proporzionate al delitto e di essere educative non solo per il reo, ma per l'intera società, al fine di prevenire il ripetersi del reato. Secondo Immanuel Kant, la vita in società consente all'uomo di sviluppare al meglio tutte le sue potenzialità, ma gli individui sono portati naturalmente all'antagonismo perchè spinti ad affermare se' stessi e "tutto rivolgere solo al proprio interesse". Nel momento in cui si riesce a realizzare una perfetta società civile, in cui valga universalmente il diritto, la società, da semplice "unione patologica forzata", si trasforma in un "tutto morale". In questo contesto, per Kant lo Stato ha il compito di regolare i conflitti fra gli esseri umani per impedire una loro degenerazione.

    In base ai principi sopra enunciati, che in parte ritroviamo nella nostra Costituzione e in diverse Carte dei diritti fondamentali, potremmo dire che lo Stato italiano non riesce pienamente nel compito di assicurare la regolazione dei conflitti e di comminare una pena commisurata al delitto e con adeguato valore dissuasivo in tutti quei casi in cui - di fronte ad una vittima sconvolta emotivamente e sottoposta a pressioni prima e durante l'azione legale - la legge o la giurisprudenza consolidata commisura la pena in tutto o in parte al danno prodotto e non alla condotta delittuosa considerata di per se'. E' il caso dello stalking e del mobbing.

    Di fronte a queste situazioni, il parziale fallimento dello Stato nel rendere giustizia e prevenire il ripetersi del fenomeno nella società si verifica non soltanto perchè la vittima è toccata emotivamente da quanto accaduto e quindi indebolita a livello psicologico, ma anche perché, per questi tipi di situazioni, uno dei pochi modi per ottenere giustizia è l'azione risarcitoria, che però comporta una sanzione per il/i colpevole/i e per l'impresa o amministrazione soltanto se si dimostra il danno personale o professionale.

    A chi sia dalla parte delle vittime (in veste di bersaglio del mobbing, di legale, di associazione per i diritti o semplicemente di amico o parente del malcapitato) non sfugge che tale impostazione presenta vari punti di debolezza. Il primo consiste nella difficoltà di dimostrare un danno - ancorchè reale - e la sua entità effettiva ed infine di provare l'intento dell'azione. Il secondo aspetto è il travaglio emotivo cui la vittima è ulteriormente sottoposta per dimostrare in tribunale sia quanto accaduto sia il carattere intenzionale delle azioni perpetrate dai suoi persecutori. Tale aspetto spesso scoraggia dal denunciare e comunque mette a dura prova chi ha già subito le violenze morali caratterizzanti il mobbig (o il bossing).

    Inoltre, e questo mi sembra il punto più importante a livello etico, appare ingiusto che chi abbia perpetrato - da solo o di concerto con altri - un maltrattamento sistematico ai danni di terzi possa evitare il risarcimento del danno biologico soltanto perchè la vittima - per condizioni personali o contingenti - non ha subito danni fisici od emotivi. Questo aspetto peraltro rileva anche sul piano dell'uguaglianza davanti alla legge, in quanto 'colpevoli' che abbiano agito con le stesse modalità su vittime diverse possono trovarsi in situazioni differenti quanto al risarcimento del danno se la loro vittima era più o meno 'resistente' alla 'tortura' psicologica e alla delegittimazione subita, a meno che non sia dimostrabile un abuso oggettivo sul piano contrattuale o si possano ravvisare gli estremi di reati quali l'ingiuria o la diffamazione ai danni del dipendente.

    E' ovvio che, in una prospettiva garantista, si voglia assicurare all'accusato di mobbing o bossing ogni tutela da eventuali false accuse. Ciò che qui si vuol sottolineare è la difficoltà di ottenere giustizia allo stato attuale ed il fatto che andrebbe punita l'azione perpetrata a prescindere dal danno prodotto e dalla finalità di emarginazione della vittima. Per dimostrare di aver subito il mobbing, dunque, non dovrebbe essere necessario, per la parte lesa, dover ricorrere - come avviene nella maggior parte dei casi - alla dimostrazione di fattispecie di reato o di inadempimenti contrattuali a se' stanti (demansionamento, controlli vietati, discriminazioni, sanzioni disciplinari ingiustificate, ingiurie, minacce, diffamazioni e infine ingiusto licenziamento). Anche perché, quando tali fatti non sussistono in parallelo alle altre vessazioni, spesso il comportamento lesivo resta impunito.

    Pertanto - anche se la Corte di Cassazione Sezione Lavoro, con sentenza 4774/2006, ha chiarito che non occorre una specifica inadempienza contrattuale o una violazione di norme a tutela del lavoratore subordinato, e che il mobbing sussiste semplicemente se la condotta del datore di lavoro ha assunto nel tempo sufficiente idoneità offensiva, e di natura vessatoria tale da comportare una lesione dell'integrità fisica e della personalità morale del lavoratore - occorrerebbe fare un passo in più e considerare a livello legislativo il comportamento vessatorio e persecutorio come un illecito a se' stante anche se non comporta danno ma semplicemente "rischio" per la salute del lavoratore.

    fonte http://www.osservatoriosullalegalita.org/10/acom/03mar1/0505ritamobbing.htm

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