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  • Tribunale Civile di Napoli, Sezione VIII, Sentenza n. 1825 del 4 febbraio 2009 (risarcimento al consulente finanziario)

    Con atto di citazione notificato ex art. 2 del decreto legislativo n.5 del 2003 il 19-7-2006, XXX, premesso di essere cliente dell’agenzia di XXX della Banca xxx s.p.a., esponeva di avere investito il 30-4-2001, su suggerimento dell’incaricato al borsino xxx, la somma di € 33.851,00, in Bond Argentina titolo 12452870 Arg. Rep. 07 10%; che l’acquisto veniva effettuato in contropartita diretta nel senso che la banca aveva già nel suo portafoglio il titolo; che della rischiosità di quest’ultimo non veniva fornita alcuna informazione e non veniva fatto sottoscrivere il documento di propensione al rischio. Formulava, quindi, le seguenti conclusioni: 1) accertare e dichiarare che la banca non si è comportata in conformità in quanto disposto dagli artt. 21 lettere a) e b) del decreto legislativo del 24-2-98 n. 58, 28 del regolamento Consob n. 11522 del’1-7-98; 2) accertare e dichiarare l’inadempimento contrattuale della convenuta e per l’effetto revocare il contratto relativo all’investimento in bond argentini dichiarandolo privo di ogni giuridica efficacia; 3) accertare e dichiarare l’inosservanza degli obblighi di correttezza e diligenza posti a carico della banca in violazione degli artt. 27 e 28 del regolamento Consob citato e degli artt. 1337 e 1440 c.c.; 4) per l’effetto condannarla alla ricostruzione e restituzione e/o al risarcimento del danno pari alla somma fatta investire di euro 33.851,35 oltre interessi e rivalutazione dal fatto al soddisfo; 5) condannare la banca al risarcimento del danno, anche per colpa da status, pari alle perdite causate, oltre interessi e rivalutazione, da liquidarsi anche in via equitativa.

    Si costituiva la banca, chiedendo il rigetto della domanda e, in subordine, nell’ipotesi dell’accoglimento della domanda, chiedeva che fosse disposta una C.T.U. sulle condizioni patrimoniali – finanziarie dell’attore e che la controparte fosse condannata alla restituzione dei titoli con i rendimenti.

    Espletati i mezzi istruttori, disposta C.T.U., la causa, sulle conclusioni di cui in epigrafe, è stata assegnata a sentenza.

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    In via preliminare, come eccepito dalla controparte, deve essere dichiarata l’inutilizzabilità delle note depositate dalla convenuta il 16-1-2009, non essendo le parti state autorizzate al deposito di note prima dell’udienza di discussione e decisione della causa.

    Sempre in via preliminare, avendo la banca eccepito l’inammissibilità della mutatio libelli in cui sarebbe incorso l’attore, occorre evidenziare che il xxx fin dall’atto di citazione ha proposto una domanda di “revoca” per inadempimento del contratto di acquisto dei titoli di stato argentini, mai diversamente denominata, nonché domande di risarcimento del danno e/o di ricostruzione e restituzione della somma investita, sicché non si rinvengono negli scritti successivi domande nuove. La domanda di “revoca”, inoltre, deve essere qualificata coma domanda di risoluzione del contratto. Difatti, nonostante il termine improprio adottato in citazione ed in tutti i successivi scritti difensivi, nessun dubbio può esservi circa il fatto che l’attore ha inteso invocare il rimedio giurisdizionale che consente alla parte non adempiente di sciogliersi dal rapporto contrattuale inadempiuto, come dimostra il limpido richiamo all’inadempimento e la richiesta di privare il contratto “di ogni giuridica efficacia”.

    Fatte queste considerazioni preliminari, si osserva in sintesi che dall’art. 21 del TUF e delle norme attuative del regolamento Consob n. 11522/98 emergono i seguenti obblighi informativi a carico dell’intermediario finanziario: - quello di “informarsi” sulla propensione al rischio del cliente (art. 21 comma 1 lett. b) TUF e 28 comma 1 lett. a) Regolamento Consob) nonché sulle qualità e caratteristiche del prodotto finanziario (art. 26 lett. e) Regolamento Consob); - quello di “informare” il cliente

    sulla natura, i rischi, le implicazioni e l’adeguatezza dell’investimento (art. 21 comma 1lett. b) del TUF e 28 comma 2 e 29 comma 1 Regolamento Consob).

    Nella fattispecie in esame la contestazione attiene all’ultimo obbligo, quello di “informazione” nei confronti - e nell’interesse - del cliente.

    In proposito, deve essere osservato che dalla documentazione depositata dalla banca risulta che il 23 febbraio 1999, in occasione della stipula del contratto di negoziazione di strumenti finanziari e di deposito titoli, xxx forniva le seguenti informazioni ai sensi dell’art. 5, comma 1 del Regolamento Consob n. 10943/97.

    1 – sulla competenza in materia di investimenti: “conoscenza approfondita di strumenti e mercati finanziari.(Es. Obbligazioni ed azioni estere, emittenti a rischio, rating, valute deboli, titoli non quotati, fondi azionari e obbligazioni esteri, prodotti derivati, etc.)”;

    2 – sui motivi di investimento: “redditività e rivalutabilità con alto rischio dell’andamento dei corsi”;

    3 – sulla propensione al rischio: “alta”.

    Risulta altresì dalla suddetta documentazione che contestualmente al cliente veniva consegnato il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.

    L’attore però denunzia anche la scorrettezza del comportamento serbato dalla banca in occasione dell’acquisto dei titoli di stato argentini il 30 aprile 2001, assumendo di non aver ricevuto informazioni sulla rischiosità dell’investimento e sulla sua inadeguatezza.

    L’esame di quest’aspetto implica la preventiva disamina della deduzione della banca secondo cui – poiché il xxx è un professionista che esercita l’attività finanziaria per terzi attraverso la società xxx tanto da avere svolto la sua attività anche per altri clienti della banca ed altresì poiché anteriormente all’acquisto per cui è causa aveva compiuto operazioni speculative sul mercato azionario (Azioni Popolare Milano, Fiat, tutti titoli speculativi per tipologia) nonché nel dicembre ’99 acquistato oltre 26.000 obbligazioni argentine, alienate il 20 marzo 2000- rientrerebbe nella previsione dell’art.31 del Regolamento Consob n. 11522/98 in quanto operatore professionale qualificato, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 27 e ss del medesimo regolamento.

    Sul punto, si rileva che il contenuto dell’art. 31 è il seguente: “1.A eccezione di quanto previsto da specifiche disposizioni di legge e salvo diverso accordo tra le parti, nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati non si applicano le disposizioni agli articoli 27,28,29,30, comma 1, fatta eccezione per il servizio di gestione, e commi 2 e 3, 4 e 5, 37 fatta eccezione per il comma 1, lettera d), 38, 39, 40, 41, 42, 43, comma 5, lettera b), comma 6, primo periodo, e comma 7, lettere b) e c), 44, 45, 47, comma 1, 60, 61 e 62. 2. Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in vigore del proprio Stato d’origine le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 e 113 del decreto legislativo del 1° settembre 1993, n. 385, i promotori finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.

    Tale essendo il contenuto dell’articolo, appare al collegio che il xxx non rientri in nessuna delle categorie tipiche di operatori qualificati dalla norma.

    A confronto di quanto si afferma si riporta la massima di Cass. , sez I 25-06-2008, n. 17340 secondo cui “ In tema di servizi di investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente, e, a fronte di un’operazione non adeguata (nella specie avente ad oggetto obbligazioni Mexico dieci per cento), può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto specifico riferimento alle avvertenze ricevute; all’operatività di detta regola, - applicabile anche quando il servizio fornito dall’intermediario consista nell’esecuzione di ordini – non è di ostacolo il fatto che il cliente abbia in precedenza acquistato un altro titolo a rischio ( nella specie, obbligazioni Telecom ed Argentina), perché ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob”.

    Esclusa la fondatezza della deduzione della banca, si osserva che la prova testimoniale esperita non ha consentito alla convenuta di fornire la dimostrazione di avere fornito al xxx informazioni sui titoli argentini poi acquistati. I testimoni escussi, infatti, non sono stati in grado di confermare che con riferimento a quella specifica operazione il cliente fosse stato informato sulle condizioni, dell’economia argentina, sul rischio dell’investimento, sul rating B1 e sulle modalità di negoziazione. Anche xxxx, indicato in citazione come l’incaricato al borsino che avrebbe proposto l’investimento, sentito come testimone su richiesta della banca, ha dichiarato di non conoscere le circostanze in quanto in realtà l’operazione non fu curata da lui, che operava presso la sede centrale di Napoli. Ed anche xxx, all’epoca direttore della filiale di xxx, ha dichiarato che l’operazione non fu curata direttamente da lui pur precisando “Tuttavia, evidenzio che la procedura è proprio quella che viene descritta nei capi che la Banca era tenuta ad osservare e che normalmente seguiva”.

    Orbene, occorre innanzitutto specificare che il significato dell’avverbio “sempre” utilizzato dall’art. 21 comma 1 lett. b) TUF sta ad intendere che non si può mai prescindere da tale obbligo di informazione, che riguarda ogni singola operazione. Il che comporta nel caso in esame due implicazioni: la prima è che, pur tenendo conto dell’esperienze e delle conoscenze dichiarate dal cliente e note alla banca, quest’ultima non poteva esimersi dal fornire le notizie basilare sull’investimento da effettuarsi ( aggravamento delle condizioni dell’economia argentina - conoscibile dalla banca secondo la diligenza dell’operatore qualificato: cfr le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio -,rating B1),; la seconda è che sebbene l’investimento appaia anche al collegio adeguato al profilo di investitore dell’attore (desunto dalle dichiarazioni da lui stesso fatte e dal tipo di investimenti praticati: cfr. sul punto anche le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio) sussiste comunque l’inadempimento della banca che non ha consentito al xxx di scegliere in maniera consapevole l’investimento, anche se adeguato al suo profilo.

    Tale inadempimento è da ritenersi di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c., in quanto attinente al fulcro del comportamento diligente richiesto dalla legge all’intermediario, sicché deve essere dichiarata la risoluzione del contratto di investimento in titoli argentini.

    La Corte di Cassazione a sezioni unite, con la sentenza del 19 dicembre 2007 n. 26725, ha chiarito che la violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti e operazioni d’investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d’intermediazione finanziaria in questione; in nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può però determinare la nullità del contrato d’intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c.

    La violazione dei doveri di informazione nel caso in esame non il cosiddetto contratto quadro bensì il singolo contratto di investimento, sicché si è in presenza di una responsabilità contrattuale. Il che comporta che non può applicarsi la prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., che al più sarebbe stata invocabile qualora si fosse rinvenuta una responsabilità precontrattuale e la si fosse ricondotta al genus dell’illecito extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c.

    Com’é noto, la risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1458 c.c. provocava lo scioglimento retroattivo del rapporto contrattuale ( con la sola eccezione dei contratti a prestazioni continuate o periodiche, che non ricorre nel caso di specie). Lo scioglimento retroattivo del contratto comporta il sorgere di obblighi di restituzione e di rimborso, che sono in massima parte regolate dalle norme sull’indebito, salve le deroghe desumibili dalla disciplina dei contratti e salve le regole sulla responsabilità per inadempimento.

    Innanzitutto, a seguito della risoluzione, le prestazioni già eseguite devono essere restituite: da qui l’obbligo della banca, parte inadempiente, di restituire la somma pagata dal xxx per l’investimento, pari ad euro 33.851,00.

    Le prestazioni pecuniarie devono essere restituite secondo il valore nominale, in quanto, in materia di indebito oggettivo, gli interessi e le somme dovute per maggior danno ai sensi dell’art. 1224, 2° comma, c.c., decorrono dalla domanda giudiziale e non già dalla data del pagamento della somma indebita, dovendosi presumere la buona fede dell’accipens alla data di riscossione della somma, a meno che il creditore non provi la mala fede dell’accipiens, con la precisazione che, nel campo dell’indebito, la buona fede pur essendo presunta può essere esclusa soltanto dalla prova della consapevolezza da parte dell’accipiens della insussistenza di un suo diritto a ricevere il pagamento. (cfr. Cass., sez. lav., 25-05-2007, n. 12211, Cass., sez. III, 10-03-2005, n. 5330, Cass., sez. lav., 05-052004  05-052004 , n. 8587, Cass., sez. lav., 13-06-1996, n. 5419, tutte nel senso dell’inapplicabilità della disposizione dettata dall’art. 1147, 2° comma, c.c. in riferimento alla buona fede nel possesso, secondo cui la buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave).

    Ora, nel caso in esame, può dirsi accertata la negligenza grave della banca nell’informare il cliente, ma non anche quella consapevolezza richiesta dalla giurisprudenza sicché gli interessi legali sono dovuti dal giorno della domanda.

    La risoluzione del contratto comporta anche l’obbligo della parte inadempiente di risarcire il danno sofferto dall’altra.

    Questo danno è rappresentato di regola dalla lesione dell’interesse positivo ossia dalla lesione dell’interesse all’esecuzione del contratto ( che si specifica nel lucro cessante e nel danno emergente) ma la parte risolvente può tuttavia limitare la sua pretesa risarcitoria all’interesse negativo, ossia a quelle perdite economiche che non avrebbe sofferto se non avesse stipulato il contratto ed ai mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute. Ed é quello che è accaduto nel caso in esame in cui l’attore chiede il risarcimento del danno pari alle perdite subite.

    Nondimeno, tale danno non può dirsi certo nella sua esistenza.

    Invero, ritiene il collegio, tenuto conto del profilo del xxx ( desunto dalle informazioni rese dallo stesso alla banca, dal suo portafoglio titoli e dal suo essere “un soggetto che acquistava e rivendeva obbligazioni a seconda del mercato”: cfr. la consulenza tecnica d’ufficio), che non vi sono elementi di fatto per ritenere provato, neppure per presunzioni, che l’attore, se fosse stato informato dalla banca delle caratteristiche basilari dell’investimento fatto, avrebbe acquistato titoli a bassa rischiosità ovvero privi di rischi, quali ad esempio i B.O.T. italiani. Al contrario il suo profilo di investitore induce a presumere che egli avrebbe investito il proprio denaro in altro titolo più sicuro ma pur sempre speculativo, nel senso che al più avrebbe avuto cura di scegliere un investimento che non lo esponesse già al momento dell’acquisto al rischio della perdita de capitale. Ma in tal modo egli avrebbe comunque prescelto un tipo di titolo per sua natura dal rendimento fluttuante ed è proprio questa circostanza che non consente di affermare in termini di certezza né che egli con quel denaro avrebbe conseguito un rendimento né in che misura un rendimento sarebbe stato realizzato.

    Non appare al collegio significativa al riguardo l’indagine fatta dal consulente tecnico – il quale ha affermato che, ad esempio, un investimento adeguato al profilo dell’attore, sarebbe stato l’obbligazione IRFIS, che dal 2001 al 2006 ha prodotto un tasso di remunerazione pari il 7% - non essendo indizi gravi, precisi e concordanti per affermare che l’attore avrebbe scelto, tra i titolo adeguati ad un investitore con una propensione medio – alta, proprio quello che in quel periodo ha prodotto un buon rendimento.

    Queste considerazioni inducono a ritenere che il xxx, dunque, ha diritto soltanto alla restituzione della somma investita con gli interessi legali dal 19-7-2006 al soddisfo.

    Per le considerazioni svolte in ordine all’interesse negativo, inoltre, non può essere ritenuto provato il maggior danno ex art. 1224, 2° comma c.c.

    Alla risoluzione del contratto consegue, infine, che anche la parte fedele è tenuta a restituire la prestazione ricevuta e dunque l’obbligo del xxx di restituire i titoli argentini con i rendimenti prodotti.

    L’applicazione delle norme sull’indebito ed in particolare dell’art. 2037 c.c. comporta che i beni da restituire vanno consegnati nello stato in cui essi si trovano con i frutti percepiti. L’eventuale distruzione o deterioramento della cosa, ancorché dipendente da fatto suo proprio, rendono responsabile la parte fedele solo nei limiti del suo arricchimento. Anche in questo caso, infatti (ed a più forte ragione trattandosi della parte non inadempiente), si presume ex art. 2037 c.c. la buona fede al momento della ricezione dei titoli acquistati.

    Tale essendo la disciplina applicabile è evidente che non vi è nessuno spazio per l’accoglimento della richiesta della banca di tenere conto del minor valore attuale dei titoli e di quello maggiore che il xxx avrebbe ricevuto aderendo all’offerta di scambio dello Stato argentino.

    Neppure può essere accolta la domanda di restituzione del rendimento, non avendo la banca né dedotto né provato in che misura li abbia corrisposti.

    Le spese seguono la soccombenza della banca ma essendo essa parziale vengono compensate nella misura della metà ad eccezione delle spese C.T.U., che vengono poste interamente a carico della banca.

    P.Q.M.

    Il Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede

    1. dichiara risolto il contratto di acquisto di Bond Argentina Titolo 12452870 Arg. Rep. 07 10% intercorso tra le parti;

    2. condanna la Banca xxx s.p.a. al pagamento, in favore di xxx, della somma di euro 33.851,00 oltre interessi legali dal 19-7-2006 al soddisfo;

    3. condanna xxx a restituire alla Banca xxx s.p.a. i titoli oggetto del contratto di acquisto;

    4. rigetta tutte le altre domande proposte dalle parti;

    5. condanna la xxx s.p.a. al pagamento della metà delle spese di giudizio sostenute dalla parte attrice, metà che liquida in euro 3.142,50, di cui 942,50, per diritti, euro 1.100,00 per onorario e la rimanente parte per spese, oltre al rimborso forfetario sulle spese generali ( nella misura del 12,5% sull’importo dei diritti e dell’onorario) nonché IVA e CPA come per legge;

    6. pone le spese di C.T.U. ( già liquidate in euro 1.212,28 per onorario oltre IVA e CPA) definitivamente a carico della parte convenuta, con obbligo della Banca xxx s.p.a. di rimborsare l’attore che le abbia versate.

    Così deciso in Napoli, il 4-2-2009

    fonte http://www.giuristiediritto.it/diritto-civile/51-giurisprudenza-di-merito/111-tribunale-civile-di-napoli-sezione-viii-sentenza-n-1825-del-4-febbraio-2009.html

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