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L'avvocato che fa una scelta contraria all'interesse del cliente deve risarcire il danno
(Cassazione civile, Sezione 6, n. 17506 del 26/7/2010)
Nuova pronuncia della Corte di Cassazione in materia di responsabilità civile dell’avvocato ( Per i tratti essenziali della materia, vedi PLENTEDA, La responsabilità dell’avvocato ).
Nell’ordinanza n. 17506/10, la Suprema Corte, pur riportandosi formalmente ad una propria precedente pronuncia (n. 6967/2006), afferma un principio davvero innovativo in materia, ancora una volta del segno della “responsabilizzazione” dei professionisti del foro e, specularmente, dell’innalzamento del grado di tutela garantito al Clienti danneggiati dall’operato del proprio difensore.
Esaminando i casi pratici sinora affrontati dalla giurisprudenza, emergeva un dato incontrastato, in ragione del quale le condanne risarcitorie pronunciate a carico dell’avvocato avevano sempre a che fare con errori inerenti le attività c.d. rituali affidate al professionista (mancato rispetto del termine per proporre appello oppure opposizione a decreto ingiuntivo; mancato compimento di atti interruttivi della prescrizione, ecc.).
Anche nella sentenza n. 6967/2006, richiamata dalla pronuncia in commento, l’errore dell’avvocato era consistito nell’omessa indicazione nell’atto di appello della data dell’udienza di comparizione, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del gravame.
Aldilà delle affermazioni di principio, invece, la responsabilità dell’avvocato veniva sistematicamente esclusa dai giudici, allorché il cliente intendesse imputare al professionista errori inerenti le attività c.d. discrezionali, connesse all’interpretazione delle leggi e, in generale, alla risoluzione delle questioni opinabili, ivi incluse le scelte processuali. In una sentenza non recentissima, la Corte di Cassazione aveva anche avuto modo di dichiarare, expressis verbis, che ”In rapporto alla professione di avvocato, deve considerarsi responsabile verso il cliente il professionista in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge (…) dovendosi invece ritenere esclusa la detta responsabilità (…) nel caso di interpretazioni di legge o di risoluzione di questioni opinabili ( Cass. civ., Sez. II, sentenza n. 10068 del 18.11.1996).
Riguardo a questo tipo di attività, alcuni autori avevano già evidenziato che l’ambito di discrezionalità professionale, che senza dubbio deve essere riconosciuto all’avvocato, presenta comunque dei limiti oggettivi che il professionista è tenuto a rispettare, oltre i quali le sue scelte da discrezionali divengono arbitrarie ( Cfr. MINARDI-PLENTEDA, Responsabilità dell’avvocato: il professionista risponde dei danni se l’errata impostazione della difesa determina la perdita della lite, in Il Civilista, Giuffrè, n. 12/2009 p. 6 ss.).
Quanto all’interpretazione delle leggi, il principale limite della discrezionalità è costituito dallo spettro dei possibili significati che la norma può assumere, avuto riguardo al dato letterale nonché alle posizione espresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
«L’avvocato è tenuto ad orientare le proprie scelte entro lo spettro di significati che la norma può assumere e, in presenza di possibili incertezze interpretative, deve tenere nella necessaria considerazione le posizioni dominanti in dottrina e, soprattutto, gli indirizzi espressi dalla giurisprudenza, a cui probabilmente si ispirerà il Giudice del caso concreto» (MINARDI-PLENTEDA, op. cit., p. 8).
La Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, individua un ulteriore limite alla discrezionalità dell’avvocato, nella fattispecie applicato all’attività avente ad oggetto le scelte processuali che competono al difensore.
Tale limite, in particolare, è costituito dall’interesse concreto del cliente.
In altri termini, l’avvocato – di fronte alla scelta tra diverse opzioni processuali – è tenuto ad eleggere quella che, in concreto, è più idonea a realizzare l’interesse concreto del cliente.
Accade così che, sussistendo i presupposti per la concessione di un decreto ingiuntivo e, in particolare, la prova scritta del credito vantato dal cliente, il cliente non possa deliberatamente scegliere se optare per la procedura monitoria oppure per la procedura ordinaria, pure astrattamente attivabile. Ciò, in quanto, la procedura per decreto ingiuntivo, ammettendo la concessione della provvisoria esecuzione del decreto stesso anche in caso di opposizione, consente al cliente di ottenere un titolo esecutivo, e quindi di avviare l’esecuzione per il recupero coattivo del credito, molto prima di quanto non accada nel caso in cui ci agisca nelle forme ordinarie, laddove occorrerà invece attendere la pronuncia della sentenza definitiva di primo grado.
L’opzione a favore del procedimento monitorio, dunque, risponde ad un oggettivo e concreto interesse per il cliente, con il corollario che la scelta dell’avvocato di intraprendere un ordinario processo di cognizione è destinata a ledere tale interesse.
La scelta dell’avvocato, in quanto destinata a ledere anziché realizzare il miglior interesse del proprio cliente, esorbita per ciò stesso i limiti della discrezionalità professionale travalicando in arbitrio ed integra, di conseguenza, un’ipotesi di inadempimento degli obblighi assunti nei confronti del proprio mandante.
Qualora da tale inadempimento derivino danni al cliente, come può accadere se medio tempore il debitore si sia spogliato del proprio patrimonio risultando alla fine insolvente, l’avvocato sarà tenuto al risarcimento del danno.
Il ragionamento appare lineare ma in realtà, come anticipato, il principio affermato dalla Corte di Cassazione segna la caduta di un altro tabù, nella misura in cui ammette il sindacato – sotto la lente dell’interesse del cliente – sulla attività concernente le scelte processuali, da sempre ritenuta prerogativa esclusiva e insindacabile del professionista del foro.
Cassazione civile, Sezione 6, Ordinanza n. 17506 del 26/7/2010
Testo della sentenza
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
E' stata depositata la seguente relazione:
1 - Il fatto che ha originato la controversia è il seguente: per ottenere il pagamento dei compensi professionali di architetto vantati nei confronti di terzi, l'avvocato officiato ha promosso un giudizio ordinario, invece di ricorrere al procedimento monitorio che avrebbe garantito un sollecito soddisfacimento del credito.
Con sentenza depositata in data 22 settembre 2009 la Corte d'Appello dell'Aquila ha condannato il legale ( S.I.) a risarcire il danno subito dal cliente ( N.E.) per violazione del dovere di diligenza professionale nella sua difesa nella controversia giudiziaria. Alla Corte di Cassazione è stata devoluta la seguente questione di diritto: se possa costituire fonte di responsabilità professionale, dando luogo al risarcimento del conseguente danno, la scelta processuale del legale.
2 - Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c..
3. - Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1176 e 2236 c.c., e, in particolare, definisce aberrante il principio posto alla base della sentenza impugnata, secondo cui l'adozione dell'atto di citazione piuttosto che del possibile ricorso per decreto ingiuntivo, quale mezzo per il recupero di un credito, configuri responsabilità professionale del difensore.
Il secondo motivo lamenta violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., e omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare assumendo che la Corte territoriale ha trascurato di esaminare gli elementi di fatto posti a sostegno della difesa.
Le due censure che, possono essere trattate congiuntamente presentando profili comuni, sono manifestamente infondate.
Il ricorso non prospetta argomentazioni che possano indurre la Corte a modificare il proprio orientamento come espresso, tra le altre, da Cass. n. 6967 del 2006.
La sentenza impugnata non si è discostata dai principi ivi enunciati avendo ravvisato, con apprezzamento di fatto congruamente e razionalmente motivato, quindi incensurabile, il danno arrecato al rappresentato nella circostanza che, fatto ricorso al procedimento monitorio giustificato dall'abbondante documentazione a disposizione, sarebbe stato agevole ottenere la provvisoria esecuzione ove le controparti avessero proposto opposizione, quindi il soddisfacimento del credito senza attendere i tempi lunghi del procedimento ordinario.
4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;
Il ricorrente ha presentato memoria ed ha chiesto d'essere ascoltato in camera di consiglio;
Le argomentazioni addotte dal ricorrente con la memoria non offrono spunti per soluzioni diverse; qui giova sottolineare che la sentenza impugnata, con apprezzamento di merito non censurabile, ha evidenziato il diverso risultato - per lui utile - che il cliente avrebbe conseguito ove il professionista avesse scelto il procedimento monitorio;
5.- Ritenuto:
che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;
che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato; le spese seguono la soccombenza;
visti gli artt. 380 bis e 385 c.p.c..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.600,00, di cui Euro 1.400,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
http://www.plentedamaggiulli.it/Giurisprudenza/Cassazione%20Civile_17506.10_avvocato_responsabilita_decreto_ingiuntivo_interesse_cliente_scelta_processuale_risarcimento_danni_avvocati_lecce_raffaele_plenteda.html
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