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  • Comprare il lavoro per i figli non è contrario al buon costume

    Con la sentenza 35352/2010 la Corte di Cassazione si occupa della questione seguente. Una coppia di genitori aveva versato delle somme di denaro a una persona che aveva promesso che, in cambio gli avrebbe procurato un lavoro per le figlie.

    Con la sentenza 35352/2010 la Corte di Cassazione si occupa della questione seguente. Una coppia di genitori aveva versato delle somme di denaro a una persona che aveva promesso che, in cambio gli avrebbe procurato un lavoro per le figlie.

    Tale promessa non viene adempiuta e il padre, denunciata la controparte truffaldina, agisce per la restituzione di quanto pagato (30 mila euro in totale). Alla richiesta di risarcimento il millantatore oppone l’art. 2035 c.c., in forza del quale, non è data restituzione al contraente che abbia adempiuto, in caso in cui l’accordo sia stato, anche da parte sua, una violazione del buon costume.

    La questione, in termini giuridici, diventa quindi stabilire se il pagamento di una somma per ottenere l’assunzione dei propri figli costituisca una condotta contraria al buon costume. Essa è senza dubbio eticamente censurabile e potenzialmente penalmente illecita (ove si tratti di pubblico impiego potrebbero ricorrere gli estremi di un delitto di corruzione, o quanto meno la rappresentazione di un tale delitto nella mente del pagatore).

    La Corte osserva che il buon costume non coincide con l’area del penalmente illecito: ciò che è penalmente illecito rientra nel concetto di “contrario all’ordine pubblico”. Contrario al buon costume è nozione diversa: per quanto la giurisprudenza più recente assuma che esso non coincida con condotte contrarie alla decenza sessuale, resta inteso che si tratta di nozione ristretta.

    La Corte ritiene che esso si collochi in un’area esterna al concetto di ordine pubblico. Per la verità questa affermazione lascia perplessi: non si vede perché non potrebbero aversi condotte contemporaneamente contrarie al buon costume e all’ordine pubblico, e penalmente sanzionate.

    Tale rilievo non è però una critica decisiva alla sentenza, che sembra ispirata, al di là della motivazione formale, a una valutazione di equità e comparativa. Il pagamento di denaro per il lavoro ai figli, dal primo punto di vista, non viene ritenuto dalla Corte una condotta tanto riprovevole da essere ritenuta contraria al buon costume. E, più ancora, tra la scelta se conservare il guadagno al millantatore ovvero restituirlo al genitore potenziale corruttore, sembra alla Corte preferibile la seconda soluzione.

    In alternativa, avrebbe potuto procedersi alla confisca del prodotto del reato.
    (Cassazione penale Sentenza, Sez. II, 30/09/2010, n. 35352)

    http://www.ipsoa.it/PrimoPiano/Diritto/comprare_il_lavoro_per_i_figli_non_egrave_contrario_al_buon_costume_id1008283_art.aspx

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