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  • Concorsi pubblici: norme interpretative anche retroattive

    Il divieto di retroattività della legge è costituzionalmente previsto solo per la legge penale. E non vale per le norme interpretative in materia di concorsi pubblici.

    Lo ha ricordato il Consiglio di Stato con una sentenza depositata il 21 luglio 2010 (Sez. VI n. 4791) con la quale ha rigettato un ricorso presentato da alcuni aspiranti vigili del fuoco, esclusi dalla selezione per la stabilizzazione di cui all'art. 1, commi 519-526, L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007).

    L'esclusione dalla procedura concorsuale era avvenuta perché il Legislatore, con una norma interpretativa, aveva disposto che, ai fini del requisito di servizio fissato dalla legge in 120 giorni, necessario per la partecipazione alla selezione, tale periodo doveva essere maturato entro il quinquennio precedente alla data di emissione del bando. Ciò in analogia con quanto previsto in via generale dal comma 519 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, al fine della possibilità di accesso alle forme di stabilizzazione del personale precario. E siccome i ricorrenti possedevano i 120 giorni di servizio, ma li avevano maturati in un periodo eccedente il quinquennio previsto dalla legge, l'Amministrazione li aveva esclusi dal concorso.

    Di qui il ricorso in I grado, che veniva rigettato dal Tar con sentenza breve e l'ulteriore ricorso in appello ugualmente rigettato dalla VI Sezione del Consiglio di Stato. Tanto più che la stessa VI Sezione, in un analogo giudizio, aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale (Ord. n. 2230 del 2008), successivamente definita dalla Corte costituzionale nel senso della manifesta inammissibilità della questione (n. 70 del 2009). Quanto alla motivazione della sentenza, i giudici amministrativi, citando la giurisprudenza della stessa Sezione (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 12 giugno 2008, n. 2009) hanno affermato che la norma che indica nel quinquennio precedente all'emanazione del bando il periodo utile per la maturazione del requisito di servizio (120 giorni) può incidere sulle fasi già concluse delle procedure concorsuali in corso. Ciò perché, se per un verso tale disposto interviene in epoca successiva a quella di presentazione delle domande, per un altro verso attiene alla questione dei requisiti di assunzione. E comunque, pur non contenendo alcuna espressa indicazione circa l'applicabilità ai concorsi in atto, si appalesa chiaramente come una disposizione avente natura interpretativa. Ed è proprio la natura interpretativa della norma in questione che ne legittima l'applicazione retroattiva.

    Tale applicazione è vietata, invece, in materia di concorsi pubblici per le norme intervenute successivamente in virtù del principio del "tempus regit actum". In più, citando la giurisprudenza della Corte costituzionale (6 dicembre 2004, n. 376) il Consiglio di Stato ha ricordato che il divieto di retroattività della legge non ha dignità costituzionale, con la sola eccezione della legge penale. Di qui la liceitàdi interventi legislativi, a livello interpretativo o innovativo, anche con efficacia retroattiva, purché quest'ultima trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Quanto al discrimine per individuare la norma interpretativa, esso, sempre secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (3 dicembre 1993 , n. 424) va individuato in relazione al contenuto normativo.

    La natura interpretativa, infatti, si evince da un rapporto fra norme -e non fra disposizioni- tale che il sopravvivere della norma interpretante non fa venire meno la norma interpretata, ma l'una e l'altra si saldano fra loro dando luogo ad un precetto normativo unitario. Mutuando alcuni termini dalla Fisica, il rapporto tra la norma interpretata e la norma interpretante è simile a quello di due vettori che ingenerano un'unica risultante che, nel caso specifico, coincide con il precetto.

    Nella propria disamina argomentativa il Consiglio di Stato, sempre citando la Consulta (4 aprile 1990, n. 155), ha ricordato che le leggi interpretative, di per sé, non sono mai incostituzionali sotto il profilo della lesione delle attribuzioni del potere giudiziario da parte del Legislatore, se non nei casi in cui siano intenzionalmente dirette ad incidere sui giudizi in corso. Né può ipotizzarsi l'illegittimità costituzionale della legge di interpretazione autentica quando il significato imposto dalla disposizione interpretata rientra tra quelli astrattamente riconducibili nell'ambito dei possibili significati della norma medesima, come nel caso in discussione. Di qui il rigetto del ricorso e la compensazione delle spese tra le parti.
    (Sentenza Consiglio di Stato 21/07/2010, n. 4791)


    http://www.ipsoa.it/PrimoPiano/Lavoro/concorsi_pubblici_norme_interpretative_anche_retroattive_id1006677_art.aspx

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