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  • Se il lavoratore è litigioso. Licenziamento, quale termine di comunicazione?

    La sentenza applica al recesso datoriale la distinzione, già affermata dalle sezioni unite, tra efficacia dell'atto unilaterale ed estinzione per decadenza del potere di emetterlo prevista dalla contrattazione collettiva.

    La Cass. Sez. U, Sentenza n. 8830 del 14/04/2010 aveva affermato che l'impugnazione del licenziamento ai sensi dell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che - in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale - l'effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell'attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio - idoneo a garantire un adeguato affidamento - sottratto alla sua ingerenza, non rilevando, in contrario, che, alla stregua del predetto art. 6, al lavoratore sia rimessa la scelta fra più forme di comunicazione, la quale, valendo a bilanciare la previsione di un termine breve di decadenza in relazione al diritto del prestatore a conservare il posto di lavoro e a mantenere un'esistenza libera e dignitosa (artt. 4 e 36 Cost.), concorre a mantenere un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti (conf. Cass. n. 22287 del 2008).

    Oggi la sentenza in epigrafe della sezione lavoro applica il medesimo principio al recesso del datore di lavoro, estendendo a tale caso così la distinzione, già affermata dalle sezioni unite con riferimento all'impugnativa del recesso, tra efficacia dell'atto unilaterale ed estinzione per decadenza del potere di emetterlo: la prima si ricollega all'effettiva ricezione dell'atto unilaterale recettizio da parte del destinatario, la seconda riguarda la spedizione dell'atto nel termine.

    Secondo la sentenza, allora, il licenziamento ricevuto dal lavoratore oltre il termine dei trenta giorni previsto dalla contrattazione collettiva (art. 68 co. 5 del c.c.n.l. 5 giugno 1999: “I provvedimenti disciplinari devono, inoltre, essere comminati non oltre il trentesimo giorno dal ricevimento delle giustificazioni e comunque dallo scadere del quinto giorno successivo alla formale contestazione”) non importa decadenza del datore di lavoro ove l'atto sia stato spedito dal lavoratore prima del termine, fermo restando che per la sua efficacia l'atto unilaterale deve pervenire al destinatario.

    La soluzione non era del tutto pacifica, atteso che non solo per il licenziamento disciplinare vi è una disciplina giuridica del tutto diversa rispetto all'impugnativa del licenziamento, ma anche perché la previsione contrattuale di una “comminatoria” della sanzione nel termine poteva far pensare alla ricezione da parte del lavoratore della comunicazione del datore nel termine stesso, e non oltre. In tema, in precedenza, Cass. Sez. L, Sentenza n. 11833 del 05/08/2003, secondo la quale, con riferimento all'art. 52 del c.c.n.l. per gli addetti alle industrie chimico - farmaceutiche, che prevede un termine massimo di cinque giorni entro il quale, dopo l'instaurazione del contraddittorio disciplinare ed il ricevimento delle giustificazioni del lavoratore, la sanzione deve essere emanata, attribuendo all'inutile decorso del termine il significato predeterminato di accoglimento delle giustificazioni dell'incolpato, con conseguente decadenza del datore di lavoro dalla facoltà di esercitare il potere disciplinare, non viola alcun canone ermeneutico il giudice del merito che, distinguendo il momento perfezionativo dell'atto da quello di efficacia, riferisca detto termine al perfezionamento dell'atto, fatto coincidere con la spedizione della lettera contenente l'irrogazione della sanzione, essendo irragionevole - anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 - che un effetto di decadenza possa discendere dal compimento di un'attività non riferibile direttamente alla parte ma a terzi (nel caso di specie ufficio postale).

    Quanto al merito della vicenda, la S.C. valuta la rilevanza della litigiosità del lavoratore con alcuni colleghi (ed in particolare del comportamento aggressivo e minaccioso di questo) e ne esclude la idoneità e sufficienza ai fini del licenziamento, specie ove i fatti siano stati genericamente contestati e siano stati comunque ridimensionati dall'istruttoria espletata. In giurisprudenza, sul tema, secondo Cass. Sez. L, Sentenza n. 7188 del 26/05/2001, la valutazione della proporzionalità tra il comportamento illecito del lavoratore e la sanzione irrogata sul piano disciplinare costituisce un apprezzamento di fatto che deve essere condotto non in astratto ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, inquadrando l'addebito nelle specifiche modalità del rapporto e tenendo conto non solo della natura del fatto contestato e del suo contenuto obiettivo ed intenzionale, ma anche di tutti gli altri elementi idonei a consentire l'adeguamento della disposizione normativa dell'art. 2119 cod. civ. alla fattispecie concreta; tale valutazione è riservata al giudice di merito e, se sorretta da adeguata e logica motivazione, non è censurabile in sede di legittimità. (Fattispecie relativa a lavoratore che era stato licenziato a seguito di ingiurie e minacce rivolte all'amministratore della società datrice di lavoro; la S.C., nell'enunciare il principio di cui in massima, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva rigettato l'impugnativa del licenziamento, tenuto conto dell'episodio, in sè di grave insubordinazione, e delle modalità con cui il fatto era stato posto in essere, significative di un'irrimediabile lesione dell'elemento essenziale della fiducia).

    Per Cass., Sez. L, Sentenza n. 5583 del 18/06/1996, in tema di sanzioni disciplinari nell'ambito del rapporto di lavoro, il principio della tassatività degli illeciti non può essere inteso nel senso rigoroso, imposto per gli illeciti penali dall'art. 25, secondo comma, Cost., dovendosi invece distinguere tra illeciti relativi alla violazione di prescrizioni strettamente attinenti all'organizzazione aziendale ed ai modi di produzione, per lo più ignote alla collettività e quindi conoscibili solo se espressamente previste, e quelli costituiti da comportamenti manifestamente contrari agli interessi dell'impresa o dei lavoratori, per i quali non è invece necessaria la specifica inclusione nel codice disciplinare. (Sulla base del riportato principio la S.C. ha annullato la sentenza con cui il giudice di merito aveva dichiarato la nullità, per la ritenuta genericità delle pertinenti previsioni del codice disciplinare, di provvedimento disciplinare di tre giorni di sospensione per minacce rivolte ad un compagno di lavoro in occasione di uno sciopero al fine di far partecipare lo stesso alla manifestazione).
    (Sentenza Cassazione civile 04/10/2010, n. 20566)

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