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  • E-mail offensive? Per la Cassazione sono molestie

    Secondo una recente pronuncia (Cass. pen 16 luglio - 30 agosto 2010, n. 32404), l’insulto, se fatto via e-mail, non costituisce “molestia” penalmente sanzionabile ai sensi dell’art. 660 del codice penale, come invece avviene per l’offesa rivolta via sms o citofono.
    La Cassazione ha argomentato la sua decisione nel seguente modo:
    Il fatto in questione non è previsto dalla legge come reato, come già sancito nella sentenza della Cassazione n. 24510 dello scorso 30 giugno, e integrerebbe condotta sostanzialmente differente da quella prevista dalla legge, poiché l’invio di un messaggio di posta elettronica non presuppone un’interazione diretta tra mittente e destinatario, né comporta un’intrusione diretta del primo nella sfera personale del secondo.
    Ciò, al contrario di quanto avviene invece con gli sms, le telefonate e le citofonate inopportune che, in quanto più aggressive, costituiscono molestie e sono per l’appunto sanzionabili.
    Con la suddetta sentenza la Cassazione ha assolto un soggetto il quale era stato condannato con la sanzione della multa per aver inviato, ad una sua conoscente, una e-mail oltraggiosa con “apprezzamenti gravemente lesivi della dignità e della integrità personale e professionale” della medesima.
    Nella fattispecie descritta, infatti, non sarebbe ravvisabile una molestia ma piuttosto un’ingiuria, per la quale tuttavia non si è potuto procedere d’ufficio dato che la vittima non aveva svolto querela apposita, venendo così a mancare la condizione di procedibilità.
    La norma invece in rilievo, relativa al reato di molestie, disciplinata dall’art. 660 c.p., prevede expressim: “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516”.
    Tale norma, secondo la S.C., non va interpretata estensivamente sino a ricomprendere tutte le possibilità di molestia attuate con i nuovi strumenti tecnologici.
    La S.C., conseguentemente, ha annullato la precedente condanna da parte del giudice di merito, perché l’ha ritenuta frutto di un'interpretazione estensiva non giustificata dell'articolo 660 cod. pen., che alla lettera, individua solo nel telefono il mezzo elettronico attraverso cui viene posta in essere la molestia.
    La Cassazione fonda la sua decisione sulle seguenti precise ragioni tecniche: “la posta elettronica utilizza la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza, ma non il telefono, né costituisce applicazione della telefonia che consiste, invece, nella teletrasmissione, in modalità sincrona, di voci o di suoni”;
    La comunicazione si perfeziona solo e quando il destinatario, connettendosi a sua volta all’elaboratore e accedendo al servizio, attivi una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e proceda alla lettura del messaggio” ed ancora “l'azione del mittente si esaurisce nella memorizzazione di un documento di testo (con la possibilità di allegare immagini, suoni o sequenze audio-visive) in una determinata locazione dalla memoria dell'elaboratore del gestore del servizio, accessibile dal destinatario”.
    In conclusione, la Cassazione ha dovuto pronunciarsi sulla questione della possibilità di equiparare la molestia col mezzo del telefono all'invio di corrispondenza elettronica sgradita, che provochi analogo “fastidio”, risolvendo il dubbio in negativo, ribaltando così ìl giudizio di condanna formulato dal giudice del merito, che era stato pronto a sancire l’equiparabilità penale tra le molestie via telefono e quelle via posta elettronica.
    L’argomentazione della SC
    Ciò in quanto, secondo la Suprema Corte, le missive elettroniche richiedono tecnicamente maggior tempo rispetto ad una telefonata o ad una citofonata per giungere al destinatario e non comportano un’interazione immediata tra mittente e destinatario, da qui il loro carattere meno turbativo della privacy e della quiete di chi le riceve.
    Secondo i giudici, infatti, nonostante la velocità di un messaggio di posta elettronica, non è detto che il destinatario abbia l’effettiva possibilità di interagire immediatamente con il contenuto della missiva, diversamente da una conversazione telefonica.
    Eppure, la posta elettronica è uno degli strumenti di Internet che più si utilizza nella vita quotidiana, sia per salutare un amico, sia per lavoro, ma talora può essere utilizzato anche per fini illeciti, come la lesione della privacy e della sicurezza altrui.
    Trattasi di comunicazione asincrona, che ossia non richiede il collegamento contemporaneo di mittente e destinatario, sicché i messaggi possono essere letti e scritti off-line e successivamente, al momento del collegamento alla rete, correttamente ricevuti e letti.
    La comunicazione sincrona, come quella telefonica, invece, presuppone che gli interlocutori coinvolti siano collegati in simultanea.
    Dal decisum della Cassazione se ne deduce che il problema sia non nell’insulto, ma nel mezzo con cui si offende qualcuno. Possibili critiche
    La sentenza in questione, in realtà, si spiega anzitutto con il divieto di interpretazione analogica delle fattispecie penali, improntate peraltro a un criterio di tassatività.
    a poi detto che la S. C. pare dare eccessivo esclusivo rilievo all’invasività del mezzo utilizzato per la molestia, trascurando però gli effetti deleteri del tipo di mezzo adoperato sulla sfera personale del destinatario della molestia.
    Infatti, non va trascurato che noi tutti siamo costantemente,o comunque spesso, connessi in tempo reale alla rete,peraltro senza distinzioni di luogo o spazio mediante mezzi sempre più diffusi, sofisticati e soprattutto più rapidi del telefono cellulare.
    Infine, non si trascuri l’aspetto “patologico” dato dall’invio massiccio di e-mail (c.d. spam) ex artt. 23-130 del Codice, spesso di natura promozionale, senza né previo consenso né la necessaria informativa ex art. 13 del medesimo Codice.
    (Cassazione penale Sentenza 30/08/2010, n. 32404)

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