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Cassazione Penale: sottrazione di file e di know how del dipendente che si dimette
La Cassazione interviene in materia di attività illecita compiuta da un dipendente, prima di dare le dimissioni dalla propria società, che aveva copiato una serie di file recanti offerte commerciali che gli erano poi serviti nella società dove era divenuto co-amministratore subito dopo le dimissioni. I reati contestati erano quelli di accesso abusivo a sistema informatico (articolo 615 ter Codice Penale), rivelazione di segreto industriale (articolo 622 Codice Penale) e furto aggravato dal mezzo fraudolento.
La Cassazione ha cassato in parte la pronuncia della Corte d'appello.
Secondo la Cassazione, infatti, "deve infatti ritenersi la insussistenza, nel comportamento posto in essere dall'imputato, del contestato reato di furto, condividendo il Collegio il principio già espresso da questa Corte (Sez. IV 13.11.2003 n.3449 del 2003 rv 229785) secondo cui è da escludere la configurabilità del reato di furto nel caso di semplice copiatura non autorizzata di "files" contenuti in un supporto informatico altrui, non comportando tale attività la perdita del possesso della "res" da parte del legittimo detentore. Una tale interpretazione trova conferma nella esplicita volontà del Legislatore che nella Relazione al disegno di legge n.2733 (con il quale si è introdotta nel codice penale una disciplina di contrasto della criminalità informatica) ha espressamente precisato che la condotta di sottrazione di dati, programmi, informazioni di tal genere non è riconducibile alla norma incriminatrice sul furto, in quanto i dati e le informazioni non sono comprese nel concetto, pur ampio, di "cosa mobile" in essa previsto; ed ha ritenuto altresì "non necessaria la creazione di una nuova ipotesi di reato osservando che la sottrazione di dati, quando non si estenda ai supporti materiali su cui i dati sono impressi (nel qual caso si configura con evidenza il reato di furto), altro non è che una «presa di conoscenza» di notizie, ossia un fatto intellettivo rientrante, se del caso, nelle previsioni concernenti la violazione dei segreti. Ciò, ovviamente, a parte la punibilità ad altro titolo delle condotte strumentali, quali ad esempio, quelle di violazione di domicilio (art. 614 c.p.), eccetera".
Resta evidentemente preclusa, stante la intervenuta assoluzione e l'assenza di ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero, ogni discussione in ordine alla possibilità di ritenere il responsabile del reato di cui all'art. 615 ter cod.pen., responsabilità che, secondo alcune pronunce di questa Corte, sussiste anche nel caso del soggetto che, pur avendo titolo per accedere al sistema, vi si introduca con la "password" di servizio per raccogliere dati protetti per finalità estranee alle ragioni di istituto ed agli scopi sottostanti alla protezione dell'archivio informatico, dovendosi ritenere compresa nella tutela di tale norma non soltanto l'accesso abusivo ad un sistema informatico ma anche la condotta di chi vi si mantenga contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo".
Interessante il passaggio relativo alla violazione della disciplina sulla tutela delle informazioni segrete.
"Deve invece ritenersi che correttamente sia stata affermata la responsabilità del medesimo per la violazione delle norme a tutela di informazioni segrete e precisamente dell'art. 622 cod.pen.. Circa la eccepita nullità correlata ad una modifica del fatto contestato è sufficiente ricordare che secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte "In tema di correlazione tra l'imputazione e la sentenza, si ha mutamento del fatto quando la fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge subisca una radicale trasformazione nei suoi tratti essenziali, tanto da realizzare un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisce un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale fra contestazione e sentenza, perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione non sussiste se l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (così da ultimo sez. VI 14.6.2004 n.36003 Di Bartolo, rv. 229756, vedi anche Sez. VI 20.2.2003 n. 34051, Ciobanu rv. 226796).
Nella specie non può ritenersi che si sia verificata alcuna violazione del diritto di difesa in quanto il comportamento che è stato posto a base della sentenza di condanna era chiaramente descritto nel capo di imputazione (come quello di chi essendo venuto a conoscenza per ragioni del proprio ufficio di notizie che dovevano restare segrete, le rivelava ad altri o ne faceva uso a proprio profitto), nessuna rilevanza avendo la circostanza che la contestazione facesse riferimento alla norma che tutela il segreto industriale piuttosto che al segreto professionale, atteso che la condotta dei due reati è la stessa e la qualificazione in termini di violazione del segreto professionale anziché di segreto su invenzioni industriali non ha comportato una modifica essenziale del fatto contestato, che è sostanzialmente rimasto lo stesso con piena facoltà dell'imputato di difendersi al riguardo dell'accusa rivoltagli.
Quanto al merito della responsabilità, risulta pienamente provato dal complessivo tenore della sentenza impugnata il comportamento criminoso, avendo la Corte di appello fornito ampia motivazione sulla avvenuta apertura da parte dell’imputato di files riservati della società, in vista dell'imminente abbandono della stessa e dell'inizio da parte dell'imputato di attività analoga con la nuova società, che si avvantaggiava di clienti in precedenza della società dove era impiegato l’imputato. Risulta pertanto integrato il contestato reato che consiste non solo nel rivelare il segreto professionale ma anche nell'impiegarlo a proprio o altrui profitto, come nella specie appunto avvenuto, atteso che i files acquisiti avevano sicuramente contribuito a consentire al di formulare per la nuova società condizioni più vantaggiose di quelle praticate in precedenza".
(Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 21 dicembre 2010, n.44840)
http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2846
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