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  • Anche un solo episodio di violenza fisica nei confronti del coniuge può comportare l’addebito della separazione

    Il fatto che risulti provato un unico episodio di percosse, nei confronti di un coniuge da parte dell’altro, non può far ritenere che si tratti di comportamenti di violenza non isolati, avvenuti tra le mura domestiche e, quindi, difficilmente provabili, in mancanza di lesioni evidenti, tramite testi, né che l’episodicità del fatto, laddove ritenuta senza una adeguata e logica motivazione, presuppone “in re ipsa” che vi sia un contesto di normalità fisiologica del quadro relazionale interno alla coppia.
    Con tale affermazione si viene a sostenere che un solo episodio di percosse non è di per sé un fatto grave e non è lesivo e gravemente lesivo della dignità della persona umana, tesi che assolutamente non può essere condivisa. Un simile comportamento costituisce affermazione della supremazia di una persona su di un’altra persona e disconoscimento della parità della dignità di ogni persona, che è il principio che sta alla base di tutti i diritti fondamentali considerati dalla nostra Costituzione e è, pertanto, un comportamento di per sé idoneo a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia. Questi i principi dichiarati dalla Corte di Cassazione che, con la Sentenza n. 817/2011, ha accolto il ricorso incidentale, promosso da una moglie, avverso la pronuncia di appello con cui il giudice del merito aveva escluso l’addebito della separazioni al marito, affermando che un solo episodio di violenza fisica, pur altamente riprovevole, non può, ove non corrisponda a un comportamento tendenzialmente reiterativi, ovvero tale da dar vita a un atteggiamento che si radichi in qualche modo nel “menage” coniugale, considerarsi quale causa o concausa di determinante rilievo della crisi coniugale, proprio perchè la isolata episodicità del fatto patologico presuppone in re ipsa che vi sia un contesto di normalità fisiologica del quadro relazionale all’interno della coppia. Il caso in esame riguarda una coppia di coniugi di cui il Tribunale di Macerata dichiarava la separazione coniugale con addebito al marito. La Corte di Appello di Ancona revocava la pronuncia di addebito. Avverso la sentenza di appello, il marito ha promosso ricorso per Cassazione, denunciando, tra l’altro, l’omissione, da parte del giudice del merito, di pronunciare sul motivo attinente alla violazione da parte della moglie del dovere di fedeltà coniugale, ma, la Corte ha dichiarato infondata la censura, precisando che l’osservanza dell’esclusiva sessuale rappresenta solo un aspetto e una naturale conseguenza dell’adempimento del dovere di fedeltà, che andrebbe inteso, secondo un significato esteso, quale dedizione piena verso l’altro coniuge. Con il ricorso incidentale, la moglie ha censurato la revoca dell’addebito al marito della separazione, infatti, il giudice del merito avbrebbe omesso di considerare che la moglie era stata indotta a presentare l’istanza di separazione subito dopo il gravissimo episodio delle percosse. La Corte ha ritenuto fondata la censura motivando secondo i principi di cui sopra.
    Anna Teresa Paciotti

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