Rassegna di normativa, dottrina, giurisprudenza

Ricerca in Foro di Napoli
  • Mediazione, consulenza tecnica ammissibile in giudizio

    La riservatezza costituisce sicuramente una delle caratteristiche principali del procedimento di mediazione. La ratio traspare evidente se si considera che il percorso mediativo è improntato alla ricerca di un possibile accordo amichevole sulla base della composizione degli interessi dei contendenti. Per cui diviene essenziale per un corretto e pieno esplicarsi della mediazione consentire alle parti di rendere trasparenti, sia pur selettivamente, i reciproci interessi (sia nelle sessioni congiunte sia in quelle separate), garantite come sono da una normativa che ne tutela la riservatezza rispetto al giudizio che dovesse essere poi incardinato nel caso della mancata conciliazione. Il quadro normativo - Ed il sistema approntato dal legislatore italiano in materia di riservatezza deriva dall'articolo 7 della Direttiva 2008/52/CE che pone quale principio fondamentale del procedimento di mediazione il rispetto della riservatezza («a meno che le parti non decidano diversamente, né i mediatori né i soggetti coinvolti nell'amministrazione del procedimento di mediazione siano obbligati a testimoniare nel procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale») con riguardo «alle informazioni risultanti da un procedimento di mediazione o connesse con lo stesso». Sulla base di questo principio il legislatore ha posto due regole fondamentali in base alle quali «Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell'organismo o comunque nell'ambito del procedimento di mediazione è tenuto all'obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo» (articolo 9, comma 1, Dlgs 28/2010) e che «Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l'insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio» (articolo 10, comma 1, Dlgs 28/2010). Nonostante la centralità del tema e la rilevanza delle questioni interpretative ad esso sottese, nei primi quattro anni di vigenza delle norme citate la dottrina non ha sviluppato approfondimenti sul tema e la giurisprudenza non ha avuto modo di esprimersi sui possibili conflitti che possono insorgere nel rapporto che si crea tra mediazione e processo in tema di riservatezza. Il contributo ‘peritale' - Si deve poi ricordare che nel procedimento di mediazione, «nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari» e qualora ciò non sia possibile «il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali» (articolo 8, commi 1 e 4, Dlgs 28/2010). Questa normativa, che ha creato non pochi problemi interpretativi circa il ruolo del mediatore ed il possesso da parte di questi di "specifiche competenze tecniche" (pur se nel ruolo di "mediatore ausiliario"), ha aperto l'accesso nel procedimento di mediazione ad una attività di tipo peritale, non assimilabile alla consulenza tecnica d'ufficio che si svolge nel processo ordinario, ma che ha suscitato divergenti opinioni sulle modalità di utilizzo e soprattutto sulla sua opportunità. Proprio in relazione all'opportunità di tale utilizzo è stato sottolineato come in mediazione sia opportuno condividere con le parti la scelta di procedere alla designazione di un esperto, valutando sin da tale momento la possibilità di rendere utilizzabile il lavoro peritale nel giudizio che dovesse poi conseguire al mancato accordo. Ciò in quanto la dottrina – soprattutto quella che maggiormente ha approfondito il tema della riservatezza – ha ritenuto «coperta dal vincolo di riservatezza e perciò non utilizzabile nel susseguente giudizio di merito» sia l'attività dell'esperto sia quella del mediatore ausiliario (è la tesi di Domenico Borghesi). Secondo tale autorevole opinione, «sembra difficile escludere le valutazioni del CTU nominato dal mediatore dal novero delle "informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione". Del resto, se le parti vogliono evitare lo spreco di un'attività nella quale hanno investito tempo e denaro, possono decidere di avvalersene in giudizio, allo scopo, se non di sostituire, quanto meno di alleggerire l'opera del CTU nominato dal giudice, purché però la scelta sia fatta di comune accordo» (D. Borghesi). L'ordinanza del tribunale di Roma - Ebbene è proprio questo il tema oggetto dell'ordinanza del tribunale di Roma del 17 marzo 2014 che, tuttavia, attraverso un'articolata e puntuale motivazione, perviene alla opposta soluzione di ritenere che la relazione redatta dall'esperto nel corso di un procedimento di mediazione, che si concluda senza accordo, possa essere prodotta nel successivo giudizio ad opera di una delle parti (e, quindi, senza alcuna pattuizione circa il possibile utilizzo nel processo), senza violare le regole sulla riservatezza. L'ordinanza quindi apre un dibattito su una questione interpretativa estremamente delicata e complessa. L'oggetto della controversia - La controversia oggetto di causa attiene ad una assunta malpractice medico-sanitaria rispetto alla quale era stato svolto il procedimento di mediazione preventivo. La parte istante aveva evocato in mediazione soltanto la struttura ospedaliera presso la quale era stato effettuato l'intervento chirurgico contestato e d'intesa le parti con il mediatore avevano ritenuto di far espletare una consulenza tecnica ad un esperto. La mediazione si era poi conclusa con esito negativo e la parte danneggiata aveva incardinato il processo dinanzi al tribunale di Roma, evocando in giudizio non soltanto la struttura sanitaria, ma anche il medico ritenuto responsabile oltre che la compagnia di assicurazioni (quale terza chiamata). La parte attrice ha prodotto nel processo la relazione peritale trovando una netta opposizione delle controparti, due delle quali non erano state invitate in mediazione e l'altra, la struttura sanitaria, che ha invocato le norme sulla riservatezza ed inutilizzabilità di cui agli articoli 9 e 10 Dlgs 28/2010, non essendovi stato nemmeno un preventivo accordo tra le stesse circa la possibilità di utilizzare in giudizio tale elaborato tecnico. La riflessione del giudice - Parte dalla considerazione in base alla quale, soprattutto nelle controversie risarcitorie e più precisamente - come nella lite in oggetto - ove siano lamentati danni alla persona, «farsi carico della spesa non irrisoria per il compenso da attribuire all'esperto in mediazione potrebbe apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non poter produrre la relazione dell'esperto nella causa che potrà seguire al mancato raggiungimento dell'accordo». Questa riflessione che peraltro spesso è emersa anche in dottrina e tra gli operatori della mediazione, induce il tribunale romano a seguire un percorso ermeneutico rigoroso e che al tempo stesso possa fornire una risposta utile al complesso rapporto mediazione-processo. Ed allora il giudice, nel definire la questione in un'ottica di equilibrato contemperamento fra l'esigenza di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso ed all'interno di tale procedimento, giunge alla conclusione di poter dichiarare legittima ed ammissibile la produzione dell'elaborato del "consulente tecnico esterno". La portata della riservatezza - Dopo aver distinto tra consulenza tecnica "percipiente" (che ha natura di fonte di acquisizione della prova) e consulenza tecnica "deducente" (che ha per oggetto la valutazione dei fatti) in ambito giudiziario, ritiene di poter trasporre questi concetti al procedimento di mediazione evidenziando altresì «l'assenza di impedimenti giuridici all'utilizzo della relazione peritale al di fuori della mediazione e specificamente nella causa che può seguire (o proseguire), così come l'assenza di qualsiasi reale contrasto con le norme e la disciplina legale di tale istituto». Dal punto di vista strettamente tecnico il tribunale chiarisce infatti come i divieti previsti dalla legge abbiano per oggetto «esclusivamente le dichiarazioni delle parti (di cui le informazioni - di cui pleonasticamente parla la legge - sono solo uno dei possibili contenuti)». Per contro le attività dell'esperto designato in mediazione «non potranno consistere nel raccogliere e riportare dichiarazioni delle parti o informazioni provenienti dalle stesse, perché questo non è un suo compito e non rientra fra le attività che deve espletare, come del resto è previsto espressamente nell'ambito della causa dove la possibilità di acquisire informazioni dalle parti da parte del C.T.U. è subordinato ad espressa autorizzazione del giudice, cfr.art. 194 c.p.c. ». Peraltro, non solo non vi è alcun espresso divieto con specifico riguardo alla relazione dell'esperto, ma l'attività del consulente in mediazione, all'esito degli accertamenti che compie, «si estrinseca (ed esaurisce) nella motivata esposizione dei risultati dei suoi accertamenti tecnico-specialistici». Il tribunale perviene quindi a chiarire che la riservatezza è tutelata da un divieto selettivo, un divieto «che riguarda esclusivamente le dichiarazioni e le informazioni che una parte abbia fornito (a chicchessia dei soggetti presenti nel procedimento di mediazione e quindi, per ipotesi, anche al consulente)» e non gli accertamenti dell'esperto. Precisa infatti il giudice che «una dichiarazione (e/o informazione fornita a cura) della parte, se considerata spendibile nel processo, potrebbe avere effetti devastanti per la medesima come ad esempio nel caso che abbia contenuto confessorio e ammissivo di circostanze a se sfavorevoli». Del tutto diversa è invece l'efficacia dell'accertamento dell'esperto svolto nel corso della mediazione, i cui risultati peraltro «sono liberamente e validamente contestabili dalle parti, in ogni contesto (mediazione e processo)». Il valore della perizia - A ciò consegue che le risultanze della perizia in mediazione possono ritenersi, in linea di principio, in sede giudiziale ammissibili ed utilizzabili, ma il tribunale opportunamente precisa quale diverso valore ed efficacia abbiano le stesse rispetto a quelle della consulenza tecnica di ufficio. Infatti, soltanto quest'ultima rientra tra gli strumenti apprestati dal codice di rito per l'acquisizione, formazione e valutazione della prova, perché disposta, controllata e diretta dal giudice, e perché il tecnico nominato - dopo aver giurato - è ausiliario del giudice (per tutti gli effetti connessi e) avendo possibilità accertative ben diverse da quelle di un esperto che operi su mandato di privati e nell'ambito – negoziale e non processuale – di un percorso conciliativo. Ne discende evidentemente l'utilizzabilità della relazione dell'esperto in mediazione nel corso del processo che consegue alla mancata conciliazione «secondo scienza e coscienza con prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti». Da utilizzare più che per fondare la sentenza «per trarne argomenti ed elementi utili di formazione del suo giudizio» ovvero anche «per costituire il fondamento conoscitivo ed il supporto motivazionale (più o meno espresso) della proposta del giudice ai sensi dell'art. 185-bis c.p.c.». E tale ultimo rilievo appare di estremo interesse perché allarga ulteriormente le opportunità e le potenzialità conciliative endoprocessuali, offrendo al giudice che ritenga di procedere nella formulazione di una proposta conciliativa la possibilità di attingere elementi utili alla stessa anche in tale elaborato peritale. La soluzione adottata - È infine interessante rilevare come dopo l'ampia ed articolata analisi, il tribunale capitolino pervenga ad una soluzione negativa circa la sua utilizzabilità nella controversia in questione. Infatti, il giudice pur ammettendo la produzione della relazione dell'esperto («stralciata da ogni divagazione rispetto agli accertamenti in senso stretto») conclude di non ritenere di trarne elementi di utilità, neppure fra le parti fra le quali si è validamente svolto l'esperimento di mediazione. Ciò in quanto il medico specialista (non medico legale) «ha con evidenti salti logici e vistose omissioni ricostruttive degli eventi e dei fatti, tratto un sommario quanto apodittico giudizio di responsabilità medica»; inoltre, invece di limitarsi a rispondere solo come dovuto ed in modo diretto ai tre appropriati quesiti formulati dalle parti e dal mediatore, «l'esperto incaricato si perdeva con irrilevanti e inammissibili divagazioni». Questa conclusione appare di notevole interesse, perché mentre da un lato il tribunale si preoccupa di vagliare l'astratta ammissibilità della relazione peritale dell'esperto redatta in mediazione, dall'altro, in concreto, pur dopo aver stralciato ogni "divagazione" rispetto agli accertamenti tecnici, ed in esito ad un attento esame, giunge a ritenerla assolutamente inutilizzabile proprio perché l'esperto non si è attenuto al suo ruolo. Ne deriva la decisione di disporre poi la consulenza tecnica di ufficio. L'importanza della decisione - Il principio affermato nell'ordinanza è di straordinario rilievo (anche se si comprende che spesso la relazione dell'esperto potrà risultare non utilizzabile), e deriva da una interpretazione che disegna i limiti della riservatezza in mediazione attraverso un percorso ermeneutico che circoscrive, secondo il dettato legislativo, alle dichiarazioni (e alle informazioni) rese dalle parti, il perimetro della relativa tutela secondo una prospettiva teleologica funzionale finalizzata alla più ampia utilizzabilità dell'attività tecnica (ove necessaria) che ne consenta un più esteso impiego in mediazione. La decisione del tribunale di Roma, la prima chiamata ad occuparsi di tale questione, consentirà di avviare una più ampia riflessione sull'utilizzo dello strumento peritale e ancor di più sui limiti della riservatezza nel procedimento di mediazione, temi tutti che necessitano di adeguato approfondimento. http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2014-06-30/mediazione-consulenza-tecnica-ammissibile-giudizio-133335.php?uuid=ABFH9HWB

0 comments:

Leave a Reply