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  • Nascere con disabilità non diagnosticata può maturare risarcimenti

    Le Sezioni Unite della Cassazione sono state chiamate dalla Corte Suprema, terza sezione civile, a giudicare sulla domanda di due genitori che chiedevano i danni per la nascita di una bambina down - “in proprio” e quali esercenti la patria potestà - al primario, al direttore del Centro analisi e all'Azienda Usl. Secondo i
    ricorrenti, infatti, nonostante i risultati degli esami ematochimici effettuati alla sedicesima settimana «avessero fornito valori non rassicuranti», non venne disposto alcun approfondimento e la donna venne avviata normalmente al parto, mentre una corretta diagnosi avrebbe permesso di abortire anche oltre il 90° giorno di gestazione. Sia in primo grado che in appello le domande erano state bocciate. Quella “in proprio” in quanto non era emersa l'evidenza della malformazione. Quella per conto della figlia in quanto «l'ordinamento tutela il concepito e l'evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, non essendo configurabile in capo al medesimo un diritto a non nascere o a non nascere se non sano». Quest'ultimo è stato fino ad oggi anche l'indirizzo prevalente della Cassazione secondo cui «verificatasi la nascita, non può dal minore essere fatto valere come proprio danno da inadempimento contrattuale l'essere egli affetto da malformazioni congenite per non essere stata la madre, per difetto di informazione, messa nella condizione di tutelare il di lei diritto alla salute facendo ricorso all'aborto». Tuttavia, l'ordinanza di invio alle Sezioni unite della Cassazione, richiama anche due recenti pronunce in senso contrario. Secondo la prima «una volta esclusa l'esigenza di ravvisare la soggettività giuridica del concepito per affermare la titolarità di un diritto in capo al nato, dovrebbe ammettersi - in caso di omessa diagnosi di malformazioni congenite - che il diritto al risarcimento possa essere fatto valere dopo la nascita anche dal figlio il quale, per la violazione del diritto all'autodeterminazione della madre, si duole in realtà non della nascita ma del proprio stato di infermità (che sarebbe mancato se egli non fosse nato)» (9700/2011). Per la seconda, il nascituro «ancorché privo di soggettività giuridica fino al momento della nascita, una volta venuto ad esistenza, ha diritto ad essere risarcito da parte del sanitario con riguardo al danno consistente nell'essere nato non sano, e rappresentato dell'interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità, a nulla rilevando né che la sua patologia fosse congenita, né che la madre, ove fosse stata informata della malformazione, avrebbe verosimilmente scelto di abortire» (Cassazione, n.16754/2012). Assieme a tale questione, le Sezioni unite dovranno anche chiarire la questione del riparto dell'onere della prova circa la volontà di abortire. Secondo un orientamento più risalente infatti deve ritenersi «corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata per tempo di gravi malformazioni del feto». In altra sentenza si è anche ritenuta sufficiente la semplice dichiarazione in questo senso della donna. Secondo differenti decisioni però il semplice fatto di sottoporsi ad accertamenti diagnostici non è sufficiente a dedurne la volontà della donna di abortire qualora informata della malformazione, essendo gli esami soltanto un «indizio» privo dei caratteri di «gravità» ed «univocità», che dunque va integrato dalla parte. http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2015-02-24/nascere-disabilita-non-diagnosticata-puo-maturare-risarcimenti-124918.shtml?uuid=ABBVKpzC

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