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  • “RESPONSABILITA’ MEDICA E UDIENZA PRELIMINARE” - Cass. pen. 41860/2013

    Un medico comunicava con ritardo i risultati di un pap test positivo, mentre un collega non somministrava terapie idonee all'esito del terzo ciclo di chemioterapia. Ne discendeva un procedimento per omicidio colposo in forma omissiva in capo ai sanitari, rinviati a giudizio e assolti con sentenza di non luogo a procedere in sede di udienza preliminare. Secondo l'accusa i medici – a cagione delle loro omissioni - avevano provocato una gravissima neutropenia chemioterapica che conduceva al decesso di una paziente.

    Nel motivare il non luogo a procedere, il GUP aveva interpretato la locuzione di "elevata probabilità" con riferimento al nesso eziologico tra omesso intervento e esito letale come mera ipotesi, non come "alta probabilità logica", come insegnano le c.d. Sezioni Unite Franzese, bensì come mera possibilità statistica.

    Su ricorso delle parti civili - che la Cassazione accoglie -, la sentenza di non luogo a procedere veniva annullata.

    Ribadito il costante principio secondo cui l'udienza preliminare ha natura processuale e non di merito, in quanto strumento per evitare dibattimenti inutili. Esula dal campo di interesse del GUP l'accertamento della colpevolezza dell'imputato, mentre rileva la sostenibilità dell'accusa in dibattimento.

    In proposito, rileva la Suprema Corte che il GUP aveva omesso valutazioni, mancando, in particolare, di svolgere giudizio prognostico relativo alla tenuta probatoria in dibattimento, erroneamente anticipando valutazioni tipiche della fase di merito.

    Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 luglio - 10 ottobre 2013, n. 41860

    Presidente Foti – Relatore Massafra

    Ritenuto in fatto

    Ricorrono per cassazione, tramite il difensore di fiducia, munito dell'apposita procura speciale, M.A. e C.A. , parti civili costituite nel procedimento penale n. 4770/2008, avverso la sentenza emessa in data 31.10.2012 ai sensi dell'art. 425 c.p.p., su conforme richiesta del P.M., dal G.u.p. del Tribunale di Trento con la quale B.A. , V.F. e S.A. venivano assolti perché il fatto non costituisce reato dal delitto di omicidio colposo in danno di C.P. .

    In particolare, secondo l'imputazione (disposta coattivamente dal G.i.p. dopo due successive reiezioni della richiesta di archiviazione del P.M. e a seguito di duplice opposizione delle parti civili), il B. , quale dirigente a tempo indeterminato presso l'U.O. di Ostetricia e Ginecologia dell'Ospedale (omissis) , "cagionava la morte di C.P. , per colpa consistita nel sottoporre la predetta ad esame enologico vaginale (pap-test) e prelievo citologico in data (omissis), non adoperandosi affinché fosse data tempestiva comunicazione dell'esito (referto dell'...: lesione intrapiteliale squamosa di alto grado: carcinoma in situ... Si consiglia controllo colposcopico con biopsia) derivando dal ritardo (reso noto solo il (omissis)), un aumento significativo delle dimensioni della neoplasia da cui la paziente era affetta divenuta localmente avanzata ((omissis) ) sì da richiedere un trattamento chemioterapico preoperatorio") il V. nella sua qualità di medico presso l'U.O. di Oncologia dell'Ospedale (omissis) , "cagionava la morte di C.P. , per colpa consistita nell'omettere la somministrazione di una profilassi con fattori di crescita granulocitari dopo il terzo ciclo di chemioterapia ((omissis) ) nella predetta paziente che aveva dimostrato una marcata sensibilità dell'effetto tossico ematologico dei farmaci impiegati; per l'effetto delle predette omissioni (concause dell'evento) insorgeva una gravissima neutropenia da chemioterapia tale da condurre la vittima ad decesso verificatosi in data ...". Il S. , invece, rispondeva del delitto di cui all'art. 328 c.p. "perché rifiutava di intervenire presso il domicilio di C.P. nonostante fosse di servizio quale guardia medica e nonostante la predetta presentasse una sintomatologia tale da configurare una situazione di allarme clinico" (fatto dell'...). Il G.u.p., rilevata la natura dolosa del delitto di cui all'art. 328 c.p., escludeva la rilevanza penale della condotta tenuta dal S. (che intervenne 50 minuti dopo la prima e 30 minuti dopo la seconda chiamata), ritenendo che, poiché in altro consimile ma ben più grave caso si era addivenuti all'assoluzione, non vi era ragione di ritenere possibile una diversa conclusione in quello in esame in cui si intravvedeva una semplice quanto grossolana negligenza. Per gli altri due imputati, il G.u.p. rilevava la non conclusa certezza delle cause del decesso, derivante da quanto ritenuto dal perito (leucopenia da eccesso di chemioterapia, derivante, quindi, da omissioni ascrivibili agli imputati) e quanto ipotizzato dai CT della difesa dell'imputato (appendicite).

    Inoltre, laddove il perito aveva affermato che in caso di tempestivo avvertimento ad opera del primo imputato e di esatta prescrizione di terapia da parte del dr. V. , con "elevata probabilità" si sarebbe determinato un diverso corso degli eventi, le sue conclusioni riferivano solo di ipotesi, di probabilità, cioè, di mera verosimiglianza.

    Per quanto concerneva la posizione del V. , doveva ritenersi pacifica la mancata previsione della terapia di cui si contestava l'omessa prescrizione tra quelle autorizzate dalle linee guida in materia. Si rilevava infine, che, benché la soluzione offerta dall'imputato non fosse indiscutibilmente la migliore sotto il profilo dell'agente modello, andavano considerate le difficoltà oggettive della condizione e la complicazione logistica del trasferimento: in ogni caso, concludeva il G.u.p., per la definizione della colpa grave (con riferimento dell'addebito di imperizia), non poteva farsi riferimento al così detto agente modello.

    Le parti civili ricorrenti deducono, in sintesi, i motivi di seguito riportati.

    1. La violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all'art. 328 c.p. e 13 dPR n. 41/1991 (compiti ed obblighi del medico), richiamando al riguardo una gran messe di sentenze di questa Suprema Corte che affermano in casi analoghi l'integrazione del contestato reato di omissione/rifiuto di atti d'ufficio e contestando le argomentazioni svolte dal G.u.p. in ordine alla peculiare condotta del S. .

    2. La violazione degli artt. 40 e 41 c.p. in relazione al nesso causale: a) per quanto attiene alla presunta mancanza di certezza sulle cause del decesso e sulla presunta ragionevolezza dell'ipotesi alternativa prospettata dai consulenti degli imputati B. e V. , evidenziando come, secondo il consulente della parte civile, non vi fosse prova documentale a supporto della tesi della causa alternativa dell'appendicite, "invenzione" dei consulenti degli imputati; b) per quanto attiene al mancato rispetto dei criteri di cui alla nota sentenza delle SS.UU. "Franzese" (n. 30328 del 2002), e conseguente vizio motivazionale; sul concetto di "elevata probabilità" espressa dal perito Z. , da intendersi quale "alta probabilità logica" (secondo la detta sentenza "Franzese") e non quale probabilità statistica (avente rilevo meramente civilistico come ritenuto dal G.i.p.), assumendo che il G.u.p. aveva errato laddove aveva sostenuto che le conclusioni del perito riferivano solo di ipotesi di probabilità, in termini di verosimiglianza.

    3. Il vizio motivazionale in relazione alla posizione del dr. V. , nonché l'errata valutazione delle risultanze peritali e l'errata interpretazione ed applicazione del principio delle presunzioni semplici di cui al'art. 2727 c.c., contestando che potessero essere considerate pacifiche conclusioni che invece erano state poi diffusamente trattate dal perito nel suo supplemento di relazione.

    4. La violazione di legge per quanto concerne la corretta applicazione degli artt. 589, 42 e 43 c.p. nonché dell'art. 2236 c.c. (disciplina in tema di responsabilità degli esercenti le professioni intellettuali); il vizio motivazionale laddove il G.i.p. aveva ritenuto che il comportamento del V. integrasse un comportamento "imperito" e non, invece, anche negligente ed imprudente (al solo fine di applicare la regola di cui all'art. 2236 c.c. sui problemi tecnici di particolare difficoltà, limitato, dalla giurisprudenza, al solo profilo dell'imperizia), osservando, fra l'altro, come il V. (che il perito aveva lasciato intendere aveva commesso un "grave errore") non avesse incontrato "un problema tecnico di particolare difficoltà" e che, a differenza di quanto ritenuto dal G.u.p., il perito Z. aveva definito imprudente il comportamento del V. per non aver predisposto una profilassi con fattori di crescita granulocitari dopo il terzo ciclo e per non aver effettuato controlli ematologici. Sono state depositate tre memorie difensive nell'interesse dei rispettivi ricorrenti, a sostegno dell'impugnata sentenza.

    Considerato in diritto

    Il ricorso è sostanzialmente fondato e merita accoglimento.

    Alcune considerazioni di ordine sistematico s'impongono prima di procedere all'esame delle censure sopra riportate.

    Sia in giurisprudenza che in dottrina, si è dell'avviso che all'udienza preliminare debba riconoscersi natura processuale e non di merito, non essendovi alcun dubbio circa la individuazione della finalità che ha spinto il legislatore a disegnare e strutturare l'udienza preliminare, quale oggi si presenta, all'esito dell'evoluzione legislativa registrata al riguardo, e nonostante l'ampliamento dei poteri officiosi relativi alla prova: lo scopo (dell'udienza preliminare) è quello di evitare dibattimenti inutili, non quello di accertare la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato. Di tal che, il giudice dell'udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall'acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede espressamente l'art. 425 comma 3 c.p.p., "gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio": tale disposizione è la conferma che il criterio di valutazione per il giudice dell'udienza preliminare non è l'innocenza, bensì - dunque, pur in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell'eventualità del dibattimento) - l'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio.

    Insomma, il provvedimento ai sensi dell'ari:. 425 c.p.p., pur motivato sommariamente, in effetti assume natura di sentenza sol perché la valutazione dopo il contraddittorio svolto in udienza preliminare è difforme da quella del pubblico ministero, ed implica assunzione del giudice della scelta d'inibire allo stato l'esercizio dell'azione penale contro l'imputato, salvo potenziale revoca. Pertanto, a fronte del ricorso, va tenuto in conto che il controllo di questa Corte sulla sentenza non può comunque avere ad oggetto gli elementi acquisiti dal P.M., bensì solo la giustificazione resa dal giudice nel valutarli. Quindi l'unico controllo ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) ed e) consentito in sede di legittimità della motivazione della decisione negativa del processo, qual è la "sentenza di non luogo a procedere", concerne la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d'insieme degli elementi acquisiti dal pubblico ministero (Cass. pen. Sez. IV n. 2652 del 27.11.2008, Rv. 24250; Sez. VI, n. 20207 del 26.4.2012, Rv. 252719). Diversamente, si giunge ad attribuire al giudice di legittimità un compito in effetti di merito, in quanto anticipatorio delle valutazioni sulla prova da assumere. E tanto si pone in contraddizione insanabile con la possibilità di revoca della sentenza da parte dello stesso giudice per le indagini preliminari, sopravvenute o scoperte nuove fonti di prova da combinare eventualmente con quelle già valutate (art. 434 c.p.p.). In altri termini, paradossalmente, questa Corte potrebbe pregiudicare l'esito di un eventuale giudizio (Cass. pen. Sez. V, n. 14253 del 13.2.2008, Rv. 23949). Orbene, deve riconoscersi come il G.u.p. sia incorso in palesi omissioni valutative, conducenti alla insufficiente motivazione adottata, che, invece, nel caso di specie s'imponevano.

    Infatti, non è stato compiutamente operato il giudizio prognostico circa l'evoluzione probatoria in sede dibattimentale nella valutazione della vicenda. Tale non può ritenersi nemmeno quel ragionamento "a fortiori" seguito per escludere la possibilità di ravvisare l'integrazione del reato di cui all'art. 328 c.p. ascritto al S. , poiché, oltre ad essere smentito dalle pronunce di questa Corte che hanno esaminato analoghe vicende ("In tema di rifiuto di atti di ufficio, risponde di tale reato il sanitario comandato dal servizio di guardia medica che, richiesto di visita domiciliare urgente, non intervenga, pur presentando la richiesta di soccorso inequivoci connotati di gravità": Sez. VI, n. 31670 del 5.6.2007, Rv. 236935 ed altre successive conformi) non vale a dimostrare nemmeno la sussistenza della mera colpa "grossolana" o, comunque, ad escludere in radice la possibilità di un più approfondito accertamento in sede dibattimentale dell'atteggiamento assunto nell'occasione dal S. . Per non dire, poi, delle argomentazioni addotte a sostegno del proscioglimento dei coimputati B. e V. , laddove si pongono sullo stesso piano gli esiti, di chiaro tenore colpevolista, della perizia d'ufficio con le mere congetture relative alla supposta "appendicite" formulata dai consulenti della difesa, per giungere a ritenere un "contrasto" inducente l'incertezza della causa del decesso. Del tutto inconsistente e forzata è poi la tesi della mera imperizia del dr. V. la cui condotta ben può essere ricondotta anche nell'alveo dell'imprudenza.

    È vero che le censure mosse con il ricorso delle parti civili, benché questo abbia efficacia ai soli fini penali (Cass. pen. Sez. VI, n. 2 2019 del 22.11.2011, Rv. 252774 e Sez. Un. n. 25695 del 29.5.2008, Rv. 239701) appaiono orientate ad una rivalutazione del materiale istruttorio e non già ad evidenziare le principali carenze motivazione della sentenza in esame secondo gli orientamenti sopra richiamati di questa Corte con focalizzazione dell'attenzione sulla insuperabilità della insufficienza o contraddittorietà degli elementi probatori acquisiti, ma tanto è chiaramente un portato necessariamente indotto dalla complessiva impostazione della sentenza impugnata con la quale il G.u.p., anticipando valutazioni decisamente proprie della fase dibattimentale a lui precluse, ha omesso la formulazione della prescritta prognosi di immodificabilità delle sue analisi e conclusioni decisionali nel corso dell'eventuale esperimento dibattimentale: in tal modo i ricorrenti sono stati sostanzialmente sviati dalle precipue finalità poste a base del provvedimento impugnato e costretti ad entrare nel merito onde evidenziare l'erroneo ed irrituale percorso argomentativo adottato dal giudice a quo.

    Consegue l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Trento.

    P.Q.M.

    Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Trento.

    http://www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=43768&catid=211&Itemid=461&mese=10&anno=2013

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